Si è conclusa domenica 8 agosto la prima edizione vastese dell’Iliad Vertical Summer Tour, un grande “villaggio vacanze itinerante”, che porta nelle località di villeggiatura giornate dense di animazione, musica, sport e divertimento. Una due giorni in compagnia di animatori, speaker, dj e istruttori sportivi che hanno movimentato, nel corso del fine settimana, il lungomare Duca degli Abruzzi a Vasto Marina. Summer Tour giunto alla sua 9ª edizione (è nato nel 2011 sulla scia del Winter Tour, fratello maggiore che di anni ne ha 12) e che a Vasto ha visto sul palco, tra gli esponenti di spicco, Gianluca Gazzoli, speaker di Radio Deejay, protagonista della giornata conclusiva della tappa vastese.
A Zonalocale, Gianluca ha parlato del suo libro “Scosse. La mia vita a cuore libero”, in cui racconta la sua storia, “rimasta nascosta” per 17 anni. Gianluca, infatti, che di anni adesso ne ha 32, a 15 anni ha scoperto di soffrire di aritmie venticolari di grave entità, disturbo che può essere tenuto sotto controllo grazie all’impianto di un defibrillatore, che attraverso delle “scosse”, riporta il cuore al “ritmo” giusto.
Hai deciso di affidare alle pagine di un libro una parte importante della tua vita che hai “tenuto nascosta” per 17 anni. Perché hai preferito non parlarne pubblicamente fino ad ora?
Ho scritto questo libro in cui racconto una condizione con cui convivo da quando avevo 15 anni. Non ne avevo mai parlato per svariati motivi, principalmente perché non volevo in qualche modo che questo potesse mettere in risalto una mia “debolezza”. Non volevo che portasse gli altri a percepire delle differenze che già mi ero messo io in testa, né volevo dare l’impressione di cercare la compassione degli altri. Ma soprattutto speravo che arrivasse il momento giusto per parlarne, e quel momento è arrivato.
Cosa ti ha portato a decidere di raccontare la tua storia?
Con il passare del tempo, essendo anche cresciuto, mi sono reso conto che parlare di questa cosa poteva essere una responsabilità. Da quando ho iniziato il mio percorso lavorativo, ho sempre condiviso un po’ i miei passi, quello che facevo, sia a livello personale che lavorativo, e mi sono reso conto che in tutto questo tempo non avevo condiviso proprio questa cosa così importante. Ho sempre creduto al concetto della condivisione positiva, ho sempre pensato che fosse una cosa buona per spingere le persone a fare meglio, per spronarle. Quando mi è capitato di iniziare a parlare di questa esperienza, ho realizzato che quello che facevo io, diventava utile per chi provava qualcosa del genere e ho capito che poteva essere giusto provare a raccontarmi.
Che ruolo hanno avuto tua moglie e tua figlia nella volontà di raccontarti?
Mia moglie e la mia bambina hanno sicuramente influito tanto sulla mia decisione di voler raccontare questa storia, perché, soprattutto dopo la nascita di mia figlia, mi sono trovato ad avere delle responsabilità che prima non avevo. Ho iniziato a pensare a tante cose, dalla paura che questa patologia potrebbe essere ereditaria, fino alla necessità di dover spiegare, raccontare. Questo mi ha sicuramente portato a pensarla “più in grande”.
In che modo racconti la tua storia in “Scosse”?
Penso che il libro sia il mezzo perfetto per raccontare una storia come la mia. In “Scosse” cerco di veicolare dei messaggi, cose che facevo già prima, ma che con il racconto di questa storia acquisiscono un senso più profondo. In ogni capitolo racconto un episodio forte che mi sono trovato ad affrontare nella vita, spiegando come fronteggiarlo mi sia servito in quello che faccio oggi. Nel corso degli anni, unendo i puntini, ho capito che c’è tutta una serie di cose che mi sono successe e che mi hanno reso quello che sono oggi, e spero quello che sarò. Molti si stanno riconoscendo nella mia storia, non necessariamente perché vivono una condizione simile, anche perché il libro non è per niente scientifico, ma proprio in alcuni aspetti in alcune esperienze di vita.
Com’è stato condividere questa esperienza?
All’inizio ero abbastanza spaventato perché non sapevo come sarebbe stata percepita questa decisione o se la cosa potesse essere fraintesa, quindi sono tornate tutte le paure che avevo in “gioventù”, perché mi sono iniziato a chiedere se si sarebbero rivelate reali. Invece, mi sono reso conto che parlarne è stato quasi come essermi tolto un peso, anche se in realtà non si tratta di un peso, ma sicuramente mi sono sentito molto più libero di raccontare questa esperienza tranquillamente, soprattutto perché sono consapevole del fatto che è diventata una storia utile anche per gli altri.
Con l’intervento di Gianluca, cala il sipario sulla 4ª tappa di questa edizione del Vertical Summer Tour, la prima dopo l’anno della pandemia. Ne abbiamo parlato con l’ideatore e organizzatore dell’iniziativa, Flavio Gallarato: “Dopo lo stop obbligatorio nel 2020 a causa dell’emergenza Covid – spiega – quest’anno è stata veramente una grandissima emozione riuscire a ripartire, a portare un evento sulle spiagge e a far aggregare le persone che hanno tanta voglia di fare festa, di divertirsi e di partecipare a tante attività.
Il pubblico ha risposto benissimo – sottolinea Gallarato – e devo dire anche con grande educazione. Noi adesso siamo obbligati a richiedere il green pass, e tutti erano consapevoli della cosa ed hanno accettato la richiesta della certificazione senza nessun problema. Sto trovando una grande partecipazione, e soprattutto una partecipazione educata e di livello. Quella di Vasto è stata la quarta tappa del nostro tour che ne prevede 8, quindi siamo a metà percorso. Martedì e mercoledì saremo in Puglia, a Castellaneta Marina e il Vertical Summer Tour si concluderà il 22 agosto, a San Vito Lo Capo. È stato un viaggio lungo tutto lo Stivale, siamo partiti da Lignano Sabbiadoro e arriveremo fino in Sicilia”.
E sull’esperienza vastese afferma: “Questa è stata la nostra prima volta a Vasto e devo dire che mi sono trovato benissimo. Ne ho parlato anche con l’amministrazione comunale, e per me questa è un’esperienza che dovremo assolutamente ripetere il prossimo anno e negli anni successivi“.