L’ultima campanella che squilla è un rito di passaggio che sa di nostalgia; ha un sapore malinconico e qualche rimpianto che con gli anni non può che crescere. È inutile, più passano gli anni stando lontani da quei banchi e da quelle lavagne – diventate digitali con i banchi a rotelle – e non c’è studente che si rincontri per strada, universitario con qualche 30 e lode da vantare, giovane ancora in cerca della propria strada o lavoratore con il tanto vagheggiato “posto fisso”, che non ricordi quei giorni con un sorriso triste, una pacca sulla spalla, una lacrima sospesa, una felicità lontana.
Ci si scambiano i saluti con un affetto inusuale, senza più quel “doveroso” distacco, ma prevale un senso di nostalgia che si respira pienamente in quelle parole, spesso con lo sguardo umido e il pensiero che corre velocemente ai compagni, alle grandi amicizie, ai primi amori, a quella spensieratezza, fatta di incomprensibile goliardate e gesti incompresi, alle tante facce che hanno abitato quegli anni in maniera più o meno importante, imponente, necessaria in alcuni casi – raramente per fortuna – anche deprecabile che fanno però parte di quel posto che chiamiamo indistintamente Scuola in quanto locus animae, un luogo dell’anima.
Con l’ultima campanella si saluta la Scuola, come se si chiudesse la porta per partire per un viaggio. L’emozione della scoperta, la curiosità del nuovo affascina, innegabilmente. Ma quella porta chiusa, voltandosi indietro fa nascere quel senso di vago e indefinito – lo chiamava Leopardi – perché ciò che è stato non tornerà più: immagini che col tempo diventano scontornate, sbiadite dalla vita quotidiana ma che restano fisse nell’anima, lì in un punto preciso sul muro delle emozioni, senza scollarsi.
Si va avanti e si aspetta di incontrare o andare incontro al mondo, con la sua bellezza e le sue brutture. Si nasce con la speranza di cogliere il meglio di tutto, facendo la tara alla fine di questo viaggio, in mezzo ad insidie, ostacoli e pericoli di ciò che più conta e vale insieme a quelle quattro, cinque cose che fanno di questa vita il grande miracolo per cui vale la pena di essere vissuta.
Ecco allora Buon Viaggio, ragazzi. E se vi voltate indietro, che scappi una lacrima, perché la Scuola sa di essere entrata a far parte di voi e della vostra vita e merita un saluto, espressione di reverenza e di salvezza come Dante e gli Stilnovisti insegnano. Come quando si torna a casa dopo mesi, anni che si è stati lontani, si rientra in quelle “stanze”, cambiati, diversi, con un senso di sacro rispetto ma anche con quella triste, vaga e indefinita felicità che solo unicamente il suono di quella campanella sa risvegliare e salvarci.
Mirko Menna
Docente di lettere – IIS Mattei Vasto