Una tournée tra Abruzzo, Molise e Puglia per presentare il suo libro, un giro “ciclo poetico” che toccherà alcune località del tacco della penisola. È la locura (pazzia, ndr), come la definisce lui stesso, di Juan Pomponio, nato in Argentina 54 anni fa da genitori abruzzesi, e tornato da qualche anno nella sua Scerni, pronto a promuovere il suo libro “Selvaggio” (edito da Tabula Fati), in uscita a giugno. Una campagna promozionale in bicicletta, realizzata grazie alla collaborazione con Tesla Bike, che Juan inizierà a luglio in compagnia del suo gatto Melkyan.
“Selvaggio” è il suo primo libro ad essere tradotto in italiano. Di cosa parlano le sue opere?
È il mio primo libro, pubblicato nel 2002. Io scrivo in spagnolo, poi i libri vengono tradotti per il mercato straniero, ma fino ad ora non c’era nulla in italiano. “Selvaggio” è una raccolta di poesie che parlano d’amore. È un po’come sono io, io stesso sono un selvaggio, è una descrizione che mi rispecchia molto. È un libro d’amore, di sentimenti, che parla alle donne.
Spesso nei miei libri parlo di amore e ricerca della spiritualità per migliorare la nostra umanità. Sono maestro di yoga e meditazione, molte delle mie esperienze e del mio cammino spirituale sono trasmesse alle mie opere. Ho all’attivo più di 12 libri. Nei prossimi mesi uscirà in Spagna e Sud America “2098”, un romanzo di fantascienza, una distopia terribile, in cui c’è comunque spazio per una storia d’amore. Questo libro è figlio della pandemia, l’ho scritto in 45 giorni di scrittura frenetica nel pieno dell’emergenza.
L’amore sembra essere un po’ il fil rouge delle sue opere. Come nasce quello per la scrittura?
Ho iniziato a scrivere quando avevo 29 anni, l’amore per la scrittura è arrivato come una forza interiore, una sorta di chiamata. Penso che l’evento scatenante di questo bisogno, la necessità di affidare i miei pensieri alla parola scritta, sia stato un male d’amore, la rottura di un fidanzamento. In realtà l’arte ha sempre fatto parte di me, da giovane mi piaceva disegnare, e da quando sono tornato in Italia ho ripreso anche a dipingere e a fare alcune mostre. La strada dell’artista non è semplice, e la pandemia ha complicato le cose.
La storia di Juan inizia da Ranelagh, città poco distante da Buenos Aires, in Argentina, paese in cui ha vissuto fino al 2017. Con Zonalocale ha condiviso alcuni frammenti della sua vita, partendo dalla storia dei suoi genitori, mamma originaria di Lanciano e papà di Scerni, emigrati da giovani in Sud America.
“I miei genitori si sono sposati per procura – racconta Juan -. Mio padre era in Argentina, mia madre in Italia, si è sposata per uscire dalla miseria, la loro è stata una storia d’amore durata 55 anni. Mio padre è andato in Sud America nel 1948, quando aveva 23 anni, mia madre invece lo ha raggiunto nel ’52. Mio padre mi raccontava spesso di quanto sia stata difficile la storia di questa immigrazione forzata degli italiani dopo una guerra tremenda che aveva lasciato tanta miseria. Mio padre era muratore, aveva la terza elementare, mia madre è analfabeta, a sette anni già lavorava. Eppure, i miei genitori, pur non essendo colti, mi hanno trasmesso un’enorme saggezza. Io però sono stato un po’ la pecora nera della famiglia, i miei fratelli si sono sposati e hanno messo su famiglia, mio padre voleva che andassi a lavorare con lui come manovale, ma a me non piaceva. Ho studiato in Argentina e mi sono laureato in disegno grafico.
Nel 2007 – ricorda – ho lasciato tutto per dedicarmi all’arte. In Argentina insegnavo nelle scuole e avevo un negozio di noleggio di videocassette, ho abbandonato l’insegnamento, chiuso l’attività, e ho attraversato il Sud America in bicicletta. È stata un’esperienza di coraggio e libertà, piena di vita. Quando ripenso al mio viaggio, ricordo tutte le cose tremende che ho visto in giro per l’America Latina, ho scritto anche un libro, ancora inedito, su quell’esperienza. Sicuramente un giorno lo pubblicherò.
Nel 2013 e nel 2014 poi – racconta – ho girato ancora il Sud America: Venezuela, la Pampa. Ma è stato il viaggio in bicicletta in giro per l’Europa, nel 2016, a farmi decidere di tornare in Italia: a giugno del 2017 sono tornato a Scerni; prima di allora ero tornato solo nel 1987 e nel 2016. Ho aperto una scuola di yoga in paese, a febbraio dell’anno scorso avevo 40 allievi. Con la pandemia e le restrizioni, in molti hanno lasciato e adesso è rimasto solo un piccolo gruppo con cui lavoro on line”.
In un periodo in cui in molti, soprattutto i giovani, lasciano il proprio paese in cerca di sicurezza, cosa l’ha spinta a scegliere di abbandonare tutto e di intraprendere un percorso pieno di incertezze?
Citando i Pink Floyd, non volevo essere “un altro mattone nel muro” (Another Brick in the Wall, 1979, ndr), ho deciso di seguire il cuore. La nave quando si trova nel porto è sicurissima, ma la storia comincia quando inizia a navigare nel mare, bisogna muoversi, non esistono certezze, la vita stessa è incertezza. Credo che si debba vivere il momento, e non è stato facile trovare persone in grado di condividere questo mio modo di pensare. L’unica donna che è riuscita a comprendermi nella vita, è stata mia madre, che adesso ha 90 anni e vive in Argentina.
Per lei l’arte è un vero e proprio stile di vita, una filosofia secondo la quale, se si ha fede o, come la chiama lei, fiducia, le cose belle accadono. Qual è il messaggio che cerca di veicolare con le sue opere?
Sono 25 anni che mi sono lanciato nel mondo dell’arte, e vorrei che il mio lavoro e la mia esperienza di vita, mandassero un messaggio. Questo è il mio cammino, e mi sento felice di farlo, è una cosa che mi riempie il cuore. Credo che questa sia la felicità: trovare quello che ti piace fare e metterci il cuore. È difficile farlo, perché la paura è il grande distruttore dei sogni e i pensieri razionali, le preoccupazioni, i problemi di tutti i giorni, ci frenano nel dare ascolto all’istinto.
Quello che faccio è la mia essenza, la mia passione, è quello che amo fare. Ho parlato nelle università, nelle scuole, sono cose che quando si ha fede, fiducia, succedono. È difficile trasmettere agli altri queste decisioni fuori dal coro, fargli capire il proprio punto di vista. Ho 54 anni, non mi sono mai sposato, sono uno spirito libero. Ho deciso di andare via dall’Argentina e di girare per il mondo, anche per affermarmi come artista.
La vita non è solo preoccupazione e frenesia, la vita è sedersi davanti al mare, ascoltarlo, ammirarne i colori, respirare, camminare, guardare il sorriso di un bambino. C’è tanto da vedere in questa terra, ma spesso ce ne dimentichiamo. Vorrei che tutti capissero che la vita è bella.