Ho avuto occasione di leggere l’opera di Girolamo Nicolino dal titolo Historia della città di Chieti Metropoli delle Provincie d’Abruzzo divisa in tre libri, stampata a Napoli nel 1657.
In essa è riportata una notizia riguardante le popolazioni di Fresagrandinaria e alcune convicine. Unitamente al diario di viaggio del frate domenicano Serafino Razzi, che nello stesso anno visitò Lentella e Fresa, il libro rappresenta una preziosa fonte di informazioni, una cosa molto rara per quei tempi.
Lo storico teatino racconta che in occasione dell’anno santo del 1575 (celebrato a Chieti l’anno seguente) intervenne anche la “Compagnia del Santissimo” di Fresa insieme ad altre: “… [le] infrascritte Compagnie venute… di Palma, di Fraine… de Furci, e di Tufillo… di Carunghio (sic!), di Monteodorisio… del Gesso… di Carponeto, di Frisci, e Lentello… le quali Compagnie erano vestite di varie, e diverse sorti di sacchi, con i loro stendardi, con le statue de’ Santi, secondo la loro divotione, cantando chi Letanie, e chi canti figurati… Alli 25, del mese d’Aprile del 1576, venne la Compagnia di Santo Bono, e della Rocca spinalveto al num. di due mila, con musica di diversi modi, ordini d’Angeli con tutti i misterii del Rosario, & ordine d’Apostoli… vi era Giuda con la borsa… il coltello con l’orecchia di Malco sopra un piatto d’argento, la canna, la corona di spine, il gallo, le fruste, la colonna, il bacile, e vaso d’Argento, Pilato, i chiodi, il Sudario, la Croce, Christo con la Croce in collo, il martello, le tenaglie, la lancia, l’aceto, il fiele, la scala, e ‘l sepolcro, con le Marie… e appresso seguitavano i misterij…”.
Questa notizia ci informa che nel Rinascimento anche nei nostri piccoli centri, nelle piazze e nelle chiese, si facevano delle rappresentazioni sacre o drammi liturgici che dir si voglia per divertire e istruire il popolo. È noto che questa forma di spettacolo prendeva spunto dai riti sulla nascita e la crocifissione di Gesù, oltre che dalle vite dei santi. Gli attori erano gli stessi componenti delle corporazioni religiose esistenti in tutte le Comunità. Ne sono derivati anche gli attuali canti augurali di questua di cui qualcuno figurato: il Capodanno, la Pasquetta, il Sant’Antonio Abate, il San Sebastiano, le Ore della Passione di Cristo ed altro. Le rappresentazioni sacre, vero teatro popolare, si fanno ancora nel nostro tempo nei centri del vastese come a Natale con i presepi viventi di Dogliola, Carunchio, Casalbordino, Montenero, Lentella, San Buono, San Salvo, Carpineto Sinello, Gissi, Pollutri, Castelmauro, San Felice del Molise e in altri. E anche, come detto, nella settimana santa con i suoi riti e misteri con le rappresentazioni della Via Crucis.
Le Compagnìe (ovvero Corporazioni Religiose) esistevano non soltanto allora (e chissà da quando) e operarono per tutto il Sei/Settecento oltre. Nel 1660 le Corporazioni fresane erano tre: del Ss. Sacramento, con Procuratore Domenico Finamore, del SS. Rosario e della Madonna delle Grazie con procuratore Gio. Lonardo Caruso. Il Procuratore aveva come collaboratore il quartilano cioè un fondachiere o magazziniere che dir si voglia. I tre benemeriti sodalizi concessero “in nome di bona socita” animali vaccini al barone Lorenzo Caracciolo allora utile signore di Fresa. Nel primo decennio del 1700 nel paese ne esistevano ancora ben quattro: Corpo di Cristo, SS. Rosario, San Donato, SS. Sacramento.
Erano degli enti con un proprio patrimonio: disponevano di terreni e case da concedere in affitto, di denaro, sementi da prestare e animali da concedere in nome di bona socita, al terzo seu per tre anni alla popolazione più povera. Inoltre in quei tempi gestivano il servizio di sepoltura le cui fosse esistevano nei sotterranei o in adiacenza delle chiese: per ogni sepoltura si riscuoteva un corrispettivo. La gestione patrimoniale era affidata ad un procuratore e soggetta alla revisione dei conti da parte di due razionali e alla supervisione dell’arciprete. Nel 1635 ad esempio vi furono 621 tomoli di grano e 63 ducati dati in prestito ad una popolazione di circa 600 unità. Prima dell’unità d‘Italia non c’era il sistema metrico decimale per cui ogni paese aveva le proprie misure dette appunto “misure locali”. Qui a Fresa per le misure di capacità e di peso si usava la soma (circa 144 kg, dico circa perché dipendente dalla vacuità e turgore dei chicchi), il tomolo (la terza parte della soma, era sui 48 kg), il mezzetto (metà tomolo: circa 24 kg), la quarta (la quarta parte del tomolo, metà mezzetto: circa 12 kg), la misura (la quarta parte della quarta: circa 3 kg). Nel 1848 per ogni tomolo di grano prestato per la semina dalla Congrega si riscuoteva l’interesse in natura nella successiva trescatura: una misura e mezzo.
Chi mi legge scuserà la digressione: in quei tempi non esistevano i cimiteri come adesso. Con le leggi napoleoniche dei primi dell’ottocento ogni paese ebbe un proprio cimitero fuori dell’abitato dove seppellire i morti sotto terra (ma a Fresa il primo cimitero fu attivato solo nel 1869). Nel 1809 vi fu anche la istituzione in ogni comune dell’Ufficio di Stato Civile che registrasse ogni nascita, matrimonio e decesso, in due copie. Prima di Napoleone tali registrazioni (non le nascite ma i battesimi) erano fatte dai preti nelle parrocchie in una copia sola e ciò, obbligatoriamente, dal Concilio di Trento. Inoltre, nell’Ottocento, siccome fino ad allora era usanza far iniziare le giornate dall’avemaria (24ª ora) a quella successiva si stabilì che le giornate iniziassero dalla mezzanotte e finissero alla mezzanotte appresso come tuttora avviene.
Le Corporazioni antiche furono soppresse per legge nel 1866 e i loro patrimoni incamerati dallo Stato. Con la legge del 1862 furono istituite le Congregazioni di Carità, con propri organi amministrativi e bilanci, a loro volta soppresse nel 1937. Nello stesso anno furono istituiti gli Enti Comunali di Assistenza ai quali furono attribuiti i patrimoni e competenze dei precedenti enti. Ciò allo scopo di “assistere gli individui e famiglie che si trovino in condizioni di particolari necessità”. Gli Eca furono anch’essi aboliti nel 1978 e i loro beni e competenze accorpati ai relativi Comuni.
Nel 1600, dopo la controriforma, le Corporazioni erano amministrate da cittadini regolarmente eletti anno per anno. Col tempo però l’attività di tali istituti si era di molto ridotta e immiserita. Abbiamo testimonianza che la Congrega di Carità nel 1905 donò per elemosina a ciascun povero del paese la somma di una lira, appena sufficiente per l’acquisto di tre kg di pane. Fino alla sua soppressione l’ECA usava donare buoni di prelevamento per qualche kg di pasta ai poveri elencati in apposita lista. Erano come gocce nel mare. Ma poi arrivarono le pensioni a tutti e le cose migliorarono. È da ritenere che questo stato di cose e modo di fare esistessero e si praticassero in tutti i paesi vicini.
Nell’Archivio di Stato di Chieti viene conservato un registro manoscritto dal titolo Corporazioni Religiose di Fresagrandinaria (dal 1621 al 1775) da cui apprendiamo che in quei tempi remoti i nostri antenati usufruirono ben volentieri di questi istituti di credito ante litteram. Un’opera da cui attingere anche preziose notiziole sulla vita di paese e su fatti curiosi non rintracciabili altrove come, ad esempio, le modalità della macinatura delle olive o le elemosine elargite per più anni del Settecento “ad alcuni ebrei venuti alla cattolica fede”.
Pierino Giangiacomo