L’ingloriosa fine del Cotir non riguarda solo il patrimonio lasciato a marcire sotto l’azione delle intemperie e dei raid di vandali e ladri. Parallelamente c’è la vicenda dei lavoratori, di cui alcuni ancora regolarmente assunti ma senza stipendio né contributi.
Il declino dell’ente di ricerca di località Zimarino si è acuito nel 2014 per precipitare definitivamente nel 2017 quando, nonostante le precedenti rassicurazioni, la Regione guidata da Luciano D’Alfonso ne decretò la chiusura dopo anni di proteste dei lavoratori che in più di un’occasione salirono sul tetto dell’edificio centrale [LEGGI].
All’epoca – dopo picchi occupazionali anche di 80 unità – il Cotir contava 27 dipendenti a tempo indeterminato. L’ultimo anno è stato il più doloroso per i lavoratori letteralmente costretti ad abbandonare il posto: in inverno senza riscaldamento a causa delle utenze tagliate (le bollette non venivano pagate più da tempo), i macchinari inutilizzabili, l’invito a non presentarsi più pena il ricorso alle forze dell’ordine. La singolarità è che i dipendenti non sono stati licenziati, ma sospesi senza stipendio. Quattordici, assunti con concorso, hanno promosso un ricorso che ha dato ragione loro riconoscendo il Cotir come un ente pubblico non economico; nel prossimo mese di luglio è attesa la sentenza di secondo grado.
[ant_dx]I ricorrenti, nel frattempo, sono stati ricollocati in altre pubbliche amministrazioni, nel limbo restano ancora 9 persone: risultano ancora a tutti gli effetti dipendenti del Cotir, ma non percepiscono stipendio e contributi e né possono essere assunti altrove.
Oggi, dopo che la vicenda è tornata a galla col il nostro recente servizio, hanno deciso di raccontare tutta la loro rabbia: “Siamo rimasti in nove, buttati sulla strada con una sospensione illegittima. Siamo tuttora assunti, quindi accumuliamo stipendi arretrati. Non ci hanno mai licenziato perché c’è una sentenza che dice che è un ente pubblico non economico, anche se in Regione sono covinti di poterla ribaltare in secondo o terzo grado”.
Questi ex dipendendi hanno deciso di non licenziarsi per non perdere il diritto di essere ricollocati in liste di mobilità pubblica: “In caso di conferma della sentenza, altrimenti, avremmo diritto solo al pregresso. Oggi molti di noi sono in forte difficoltà economica: non abbiamo diritto ad ammortizzatori sociali, né accesso a misure di sostegno al reddito perché siamo assunti. La Regione ci ha sempre rassicurato che saremmo stati risistemati, ma così non è stato. La sentenza è esecutiva, continuiamo a presentare decreti ingiuntivi, ma dal giudice non si presenta nessuno. La sospensione non è stata comunicata neanche all’Inps e i contributi sono stati pagati fino al primo dicembre 2018 quindi per noi non ci sarebbero neanche i due anni di Naspi (Indennità mensile di disoccupazione). In Regione sono sicuri di ribaltare la sentenza e dichiarare fallimento; in quel caso perderemmo tutto, anche cinque anni di stipendi arretrati“.
In quei laboratori, oggi abbandonati al totale degrado, con centinaia di migliaia di euro di attrezzature in rovina, il Cotir ha portato avanti importanti ricerche nel settore dell’agroalimentare: “All’esterno si è sempre detto Lì gli regalano lo stipendio, ma non era così. Ogni anno i ricercatori presentavano alla Regione un piano di progetti che doveva essere approvato. Nel corso degli anni abbiamo concluso progetti nel campo delle energie rinnovabili, sui grani, l’olio, la ventricina, il peperone dolce di Altino, le foraggiere… solo per citarne alcuni. La situazione si è compromessa quando è stata chiusa l’Arssa (l’Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo Agricolo) che finanziava direttamente il piano di ricerche”.
Alcuni lavoratori continuarono a frequentare il Cotir fino alla metà del 2018 per la raccolta di dati per progetti in conclusione, in quel periodo furono scoperti – e denunciati – anche i primi furti in un sito ormai già sulla via dell’abbandono. “Quando ci hanno buttato fuori, non si sono preoccupati neanche di chiudere i cancelli. Oggi solo noi lavoratori sappiamo di preciso cosa manca”.
“Siamo stati abbandonati non solo dalla Regione, ma anche dai sindacati – è la conclusione amara – Hanno avuto sempre l’idea che noi non avessimo nessun diritto. Tra di noi c’è la prima assunta con 28 anni di servizio, non ha nessun diritto? Se l’ente andava chiuso perché non più economicamente sostenibile, avrebbero dovuto pagare gli stipendi e liquidarlo. Ci siamo sentiti dire in faccia che la sentenza sarà ribaltata e noi perderemo tutto, questo fa veramente male. Chiediamo che ci venga dato ciò che abbiamo maturato, poi ci possono anche licenziare“.