A margine della riunione dei sindacati sul “caso” Pilkington, Edmondo Laudazi, consigliere di minoranza di Vasto, ripercorre le tappe della storia della fabbrica. Stabilimento che vede addensarsi, sul proprio futuro, nubi di incertezza [LEGGI].
“La difficoltà del momento – si legge nella nota di Laudazi – mi induce a riproporre alcune considerazioni su un tema scottante e pericoloso per il futuro dell’intero vastese. Pilkington Italia (ex Siv) era un gioiello di famiglia, nato all’interno delle ex partecipazioni statali a seguito di una grande azione di lotta sociale e popolare, subita ma accolta dalla politica italiana, a compensazione della utilizzazione dei giacimenti metaniferi rinvenuti nel basso Abruzzo. A Vasto e nel Vastese questo colosso produttivo si è piano piano affermato fino ad assumere una dimensione internazionale, radicando e sviluppandosi sulla capacità dei tecnici e sul duro lavoro delle maestranze locali. I nostri operai hanno, nel tempo, prima imparato la difficile arte del ‘fare vetro’ e poi hanno perfezionato le loro esperienze ‘sul campo’, fino a raggiungere elevati livelli di efficienza tecnologica e di capacità operative, esportabili ed esportate in tutto il mondo. Poi il nostro gioiello, e gli enormi investimenti pubblici sostenuti negli anni, sono stati improvvisamente dismessi e svalorizzati, in una operazione di mercato discutibile con la azienda privatizzata e depositata sul mercato già saturo, senza tutele e paracadute, addirittura spacchettandola e trasformando alcuni degli impianti satelliti costruiti per il mondo (Spagna, Polonia) in concorrenti spietati e favoriti sia dalla posizione, centrale rispetto alla ubicazione delle principali case auto, sia dai minori costi di produzione, relativi alle spese per il personale e per la enorme energia utilizzata nei processi di trasformazione.
L’onorevole Remo Gaspari, a scippo avvenuto, lo aveva purtroppo amaramente profetizzato: ‘senza la testa operativa a San Salvo e con il solo cuore degli operai, questo patrimonio del nostro territorio, scemerà la sua forza produttiva e potrebbe perdere migliaia di posti di lavoro‘. Il limpido preavviso di burrasca non è stato mai valutato da una classe politica locale inadeguata e distratta e dai sindacati aziendali, evidentemente tenuti all’oscuro delle decisioni strategiche o impegnati a supportare il Management in altre vicende: sta di fatto che più della metà della forza lavoro diretta è andata persa. Migliaia di posti di lavoro sono stati sostituiti con tante pensioni che reggono ancora la economia del comprensorio vastese, ma che sono destinate a finire. Negli ultimi dieci anni, si riscontrano pochissimi investimenti in prodotti e tecnologie e solo un grande spolvero di ammortizzatori sociali e di solidarietà tra operai. Mai avremmo creduto che si potesse arrivare tanto silenziosamente in basso.
Quando abbiamo osservato che, nonostante il raccordo ferroviario interno allo stabilimento, i container pieni di vetro – trasportati con gli autotreni – venivano imbarcati sul treno nella lontana Sassuolo, quando abbiamo notato che quasi tutti i furgoni prodotti dalla Sevel in Val di Sangro montano vetri di altri costruttori, quando ci siamo resi conto che il Centro Ricerche è stato svuotato, smontato e, sostanzialmente, chiuso nel disinteresse generale dei responsabili, allora si è bruscamente evidenziata la triste realtà di un ex gioiello produttivo italiano, divenuto, purtroppo, solo un braccio – obsoleto ed ingombrante – di un operatore internazionale mondiale, di cui eravamo risorsa e per cui si rischia di diventare un problema.
Il Covid-19 e le negative conseguenze sul mercato dell’auto, con il calo della richiesta, potrebbero oggigiorno fornire anche un inaspettato supporto ad un destino industriale che sembrerebbe essere stato disegnato a tavolino, nel panel aziendale della NSG Group: lasciare a San Salvo solo le produzioni a maggior valore aggiunto, indipendentemente dai volumi e dal dimensionamento aziendale, ulteriormente da comprimere, a seguito del mancato revamping di un forno float – cuore dello stabilimento – e della possibile chiusura di uno dei due soli forni ancora in esercizio. Non una operazione immediata ma un tragico destino. Noi non ci stiamo a morire di sfinimento. Bisogna, quindi, agire con rapidità, manifestando un chiaro dissenso a chi effettivamente decide il futuro degli stabilimenti NSG in Europa. Poiché il governo italiano emanerà un apposito piano per il rilancio industriale, immettendo grandi risorse negli specifici comparti produttivi, allora è evidente che per Pilkington bisognerà trattare, difendendo a tutti i costi i posti di lavoro – che rischiano di scomparire per sempre – e tratteggiare quali siano le necessità economiche e morali da supportare, per superare la crisi contingente e rilanciare, anche diversificando prodotti e settore, l’unità produttiva di Piane Sant’Angelo. La politica ed i rappresentanti del nostro territorio nelle istituzioni sindaci, consiglieri regionali, deputati e senatori, se ci sono, battano un colpo. O tacciano per sempre”.