Sono oltre 350 i pazienti affetti da sclerosi multipla nell’area frentana e del Vastese: di questi, il 68% sono donne. Per questo motivo, in occasione della giornata internazionale della donna, abbiamo dedicato un approfondimento a questa patologia che fa paura e della quale spesso si parla troppo poco. Perchè conoscere il nemico, può essere utile per affrontarlo con coraggio.
Con il dottor Maurizio Maddestra, neurologo e referente del Centro Sclerosi Multipla dell’ospedale Floraspe Renzetti di Lanciano, abbiamo parlato della patologia, dei rischi ai tempi del Covid e dell’importanza del vaccino per le persone con SM.
Che cos’è la sclerosi multipla?
È una malattia autoimmune cronica demielinizzante, che colpisce il sistema nervoso centrale causando un ampio spettro di segni e sintomi, in base alla diversa possibile localizzazione delle lesioni. È caratterizzata da una reazione anomala delle difese immunitarie che attaccano alcuni componenti del sistema nervoso scambiandoli per agenti estranei, per questo rientra tra le patologie autoimmuni. Il processo infiammatorio, scatenato dal sistema immunitario, può danneggiare sia la mielina (guaina che circonda e isola le fibre nervose), sia le cellule specializzate nella sua produzione, che le fibre nervose stesse; questo processo è detto demielinizzazione. Al processo infiammatorio si associa un processo degenerativo che determina un impoverimento delle cellule nervose.
Si può guarire dalla sclerosi multipla?
Allo stato attuale la sclerosi multipla non è guaribile, ma è adeguatamente curabile. Grazie ai progressi diagnostici (diagnosi sempre più precoci) e a quelli terapici (trattamenti sempre più specifici), le persone con SM possono mantenere una buona qualità di vita con un’aspettativa non distante da chi non ha questa malattia.
La sclerosi multipla è una patologia che colpisce in prevalenza le donne. Questo può compromettere, ad esempio, la possibilità di avere figli?
La sclerosi multipla – spiega il dottor Maddestra – è più frequente nel sesso femminile e di solito viene diagnosticata in giovane età. Per questo è naturale che molte donne si interroghino sulla scelta di avere figli. Spesso, al momento della diagnosi, le domande riguardano proprio gli eventuali effetti della malattia sul diventare madre. Gli studi più recenti hanno permesso di valutare che la gravidanza non modifica l’andamento a lungo termine della malattia, sebbene durante la gravidanza le donne hanno abitualmente meno ricadute, in particolare nel corso del secondo e del terzo trimestre, mentre nella fase di post-partum potrebbero avere una maggiore tendenza alle ricadute. I dati scientifici non controindicano la gravidanza alle pazienti, sebbene si raccomanda di programmare la gravidanza, quando possibile, durante una fase stabile della malattia anche per poter valutare la sospensione delle terapie, che generalmente sono controindicate in corso di gravidanza, in maniera più serena.
Qual è, in linea generale, il decorso della patologia?
Inizialmente prevale nettamente il processo infiammatorio, tanto che le manifestazioni cliniche iniziali sono a ricadute (comparsa improvvisa di un disturbo nervoso) e tale processo è facilmente individuabile con la Risonanza Magnetica. Successivamente dopo anni di malattia, prevale il processo degenerativo così che le manifestazioni cliniche sono caratterizzate da una lenta progressiva accentuazione del deficit neurologico. Il processo neurodegenerativo è poco visualizzabile dalla risonanza magnetica, tanto che si parla di paradosso clinico-radiologico, ovvero un peggioramento delle condizioni cliniche in assenza di apparenti modifiche alla RM.
Quali sono i “numeri” della malattia nell’area frentana e del Vastese?
La prevalenza della malattia è di almeno 350 casi, di cui il 67-68% è di sesso femminile. L’età media è di 51-52 anni (età compresa tra 83 e 22 anni), di cui il 20-21% ha meno di 40 anni. Ogni anno ci sono 10-12 nuove diagnosi. L’età di esordio della malattia è in media di 33 anni, nel 6-8% dei casi esordisce prima dei 18 anni e nel 25-27% dei casi prima dei 25 anni.
I pazienti affetti da sclerosi multipla sono più esposti al rischio di contrarre il Covid-19?
Il rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV2 non è modificato nei pazienti con SM e non è sostanzialmente influenzato dalle terapie. Le persone con sclerosi multipla di età superiore ai 60 anni, che presentano maggiore disabilità, che sono in fase progressiva e che hanno comorbidità, hanno un rischio aumentato di un decorso più sfavorevole in caso di infezione da Covid-19, per cui devono porre più attenzione alla minimizzazione dei rischi di infezione. Nessuna delle terapie utilizzate nella cura della SM sembra influenzare la letalità da Covid, ma i farmaci che hanno un’azione selettiva contro i linfociti B comportano un aumento di rischio di un’evoluzione più grave della malattia. Per i farmaci iniettabili, come gli interferoni e altri farmaci modulatori, come fingolimod e dimetilfumarato, non sono stati rilevati effetti negativi sull’evoluzione di una eventuale infezione da Covid-19. Per quanto riguarda i farmaci immunosoppressori, non vi sono ancora dati sufficienti per stimare gli eventuali effetti negativi. I pazienti che hanno ricevuto un trattamento steroideo (cortisone, ndr) nel mese antecedente allo sviluppo di Covid-19, hanno un maggiore rischio di un decorso più sfavorevole della malattia.
Ci sono stati casi di Covid nei pazienti seguiti dal vostro centro? L’emergenza sanitaria ha creato difficoltà nelle terapie o nelle visite di controllo?
Nella nostra zona, dall’inizio dell’emergenza, abbiamo avuto 6 pazienti con sclerosi multipla risultati positivi al Covid, di questi solo 2 sono risultati leggermente sintomatici. Non c’è stato nessun ritardo nelle terapie infusionali e ospedaliere, gli unici rallentamenti registrati sono stati quelli relativi ai controlli a scadenza (ad esempio le visite neurologiche annuali), o le visite di controllo, posticipate principalmente per scelta dei pazienti.
Il vaccino è consigliato nei pazienti con sclerosi multipla?
Tutte le persone con SM, in terapia o non in terapia con farmaci modificanti il decorso, dovrebbero vaccinarsi per ridurre il rischio di Covid-19, in modo particolare quelle disabili, con forme progressive di SM, di età più avanzata e con altre concomitanti malattie (comorbidità). Per quanto oggi noto, gli effetti collaterali dei vaccini disponibili sono generalmente blandi e si risolvono, nella maggior parte dei casi, entro 1-2 giorni; raramente si presenta una leggera forma febbrile, che può comportare una transitoria accentuazione dei disturbi neurologici, ma non sono attesi effetti negativi sul decorso della malattia. Secondo il parere motivato della Società Italiana di Neurologia anche il vaccino Astra-Zeneca può essere utilizzato nelle persone con Sclerosi Multipla nella fascia di età compresa tra i 18 ed i 65 anni. Naturalmente è sempre consigliabile fare riferimento al proprio neurologo che potrà valutare la condizione clinica specifica di ciascun paziente relativamente alla eventuale condizione di fragilità.