File interminabili davanti ai supermercati, negozi presi d’assalto e scaffali “svaligiati”. Sono alcune delle immagini più evocative dei primi giorni del lockdown che ha caratterizzato il 2020, l’anno della pandemia. Gli assembramenti notturni alle porte dei supermarket dopo i Dpcm dell’allora presidente del consiglio, Giuseppe Conte, resteranno nell’immaginario collettivo come rappresentazione dei sentimenti che tutti abbiamo condiviso: incertezza, paura, smarrimento. Una spasmodica “corsa agli armamenti” guidata dal timore della chiusura totale dei supermercati.
Paura infondata, perché le porte dei supermercati non si sono chiuse, così come non si sono fermati gli altri eroi di quest’emergenza: scaffalisti, magazzinieri, banconisti, cassieri, donne e uomini in prima linea per fornire servizi indispensabili. A Zonalocale, Laura Del Borrello, che lavora nel settore da 29 anni, ha parlato del suo lavoro come cassiera nel supermercato Conad di via Alessandrini a Vasto ai tempi della pandemia.
Una situazione inaspettata e completamente nuova, che ha portato il settore e i suoi dipendenti a reinventarsi. “Per noi ovviamente è stata un’esperienza mai vissuta prima, nella quale abbiamo dovuto fare i conti con nuove regole. Inizialmente è stato un trauma, perché abbiamo dovuto gestire la nostra paura e soprattutto quella dei clienti. Una delle prime cose che abbiamo fatto, come staff, è stato cercare di creare un gruppo ancora più affiatato, una famiglia con dei legami ancora più forti di quelli che già avevamo. Siamo sempre stati molto legati, e anche in quest’occasione ci siamo sostenuti a vicenda cercando di darci consigli. La titolare del punto vendita ogni giorno convocava dei meeting per cercare di capire come affrontare le varie problematiche adottando soluzioni a riguardo. Anche l’azienda è stata attenta alle nostre esigenze, avere supporto per noi è stato importantissimo”.
Ingressi contingentati, sanificazione, distanziamento, mascherine e plexiglass alle casse, tra gli accorgimenti del punto vendita per tutelare personale e clienti. “La cosa più importante era cercare di tranquillizzare la clientela, assicurando il massimo dell’accortezza. Molti erano nel panico, avevano paura di toccare la merce o di avvicinarsi, la cosa più importante era la loro e la nostra sicurezza. Il supermercato veniva sanificato due volte a settimana, indossavamo le mascherine, in ogni corsia e ad ogni cassa avevamo a disposizione flaconi di igienizzante, gli ingressi erano scaglionati e i clienti venivano sottoposti al controllo della temperatura. Alle casse abbiamo i pannelli in plexiglass e, i primi tempi, usavamo molto anche i guanti. Continuiamo ad osservare questi accorgimenti perché è importante non abbassare la guardia e ci stiamo rendendo conto che sarebbe opportuno mantenere alcune di queste abitudini anche in futuro“.
Clienti preoccupati non solo dal rischio di contagio ma anche dalla prospettiva di rimanere con la dispensa vuota. “È stato fondamentale dare disponibilità illimitata della merce, perché la fobia principale era proprio quella di rimanere senza cibo. Abbiamo quindi provveduto alla massificazione della merce cercando di avere sempre a disposizione i generi di prima necessità. Dovevamo far capire ai clienti che non sarebbe cambiato nulla, che il supermercato sarebbe rimasto aperto, che avrebbero sempre trovato ciò di cui avevano bisogno, cercando anche di stemperare le informazioni che magari arrivavano dall’esterno, come le immagini delle resse all’esterno dei negozi nelle grandi città”.
Clientela rispettosa delle regole, anche se non sono mancate le “pecore nere”. “In linea generale la clientela si è comportata bene, ma ci sono stati dei clienti un po’ restii alle regole, che probabilmente erano proprio quelli più spaventati. C’erano persone più attente che si lamentavano proprio di chi non indossava la mascherina o non rispettava le distanze, quindi ci sono state discussioni accese su questa tematica e ci è capitato di dover fare da mediatori. Abbiamo sempre cercato di far capire ai diretti interessati, in maniera molto tranquilla perché la tensione era altissima, che indossare la mascherina o mantenere la distanza di sicurezza era un comportamento giusto per loro stessi e per gli altri“.
Sul posto di lavoro il rischio di contagio, pur limitato dai dispositivi di sicurezza, non è certo impossibile. E a casa ci sono le famiglie, i genitori spesso anziani e quindi esposti a rischi maggiori, il coniuge, i figli. “All’inizio avevo un po’ di paura soprattutto per i miei familiari, per mia madre e mio padre che sono più anziani. Cercavo di farli uscire il meno possibile, gli portavo la spesa a casa, evitando spesso di entrare e, quando lo facevo, indossavo per tutto il tempo la mascherina, toglievo la giacca e una delle maglie che avevo addosso, proprio per avere il meno possibile vestiti con cui ero stata al lavoro. Quando tornavo a casa invece, dove c’era mio marito, mi cambiavo in garage. Cercavo nel mio piccolo di fare il massimo per tutelare gli altri perché mi rendevo conto di lavorare in un ambiente frequentato ogni giorno da centinaia di persone.
Una situazione insolita che ha modificato, in parte, non solo le abitudini dei lavoratori ma anche quelle dei clienti. “Ci sono alcune persone che vengono ancora a fare la spesa solo una volta alla settimana, come succedeva nei primi mesi di lockdown. Anche il modo di fare la spesa è cambiato, sono cambiati gli orari, ad esempio in molti tendono a venire negli intervalli per trovare meno gente, mentre il sabato non c’è più l’affollamento di una volta. I clienti cercano di evitare di trovare troppe persone nel supermercato. Pian piano la situazione sta migliorando, c’è più tranquillità, perché c’è maggior coscienza e abbiamo iniziato a capire meglio come gestire la cosa“.
Un anno, quello della pandemia, che ha lasciato segni profondi, portandoci a desiderare un ritorno alla normalità. “Quello che vedo mancare e di cui sento la mancanza è la serenità. Penso che ci sia bisogno di serenità e tranquillità, in questo momento c’è stanchezza per una cosa che sembra non finire mai, le persone sono esauste. Quello che mi manca di più è la normalità, sono le cose più sciocche che prima davo per scontate, mentre adesso mi rendo conto che quello di cui abbiamo più bisogno sono proprio quelle cose, le cose normali”.