Ho incontrato per la prima volta Daniela virtualmente, sbirciando i suoi lavori tra le centinaia di post su Instagram e individuandone subito la bellezza e lo stile. “Daniela, ci facciamo una chiacchierata?”. È stato quello che è seguito di lì a poco. Alcune cose colpiscono per la loro stravaganza ed eccentricità, altre colpiscono per la purezza delle linee, la semplicità senza tempo delle caratteristiche fondamentali; e Daniela è stata così. È un giovane architetto e interior designer che già da qualche anno ha messo in piedi la propria attività stabilmente sul territorio. Una donna, da sola, che si crea la professione che le piace. “Ho sempre voluto fare il mio mestiere. Quando ero piccola facevo giochi che penso altri bambini non facessero, effettivamente. Ad esempio, insieme a mia cugina, prendevamo dei piccoli legnetti dalla casa di una anziana signora vicino la casa dei miei genitori, a Furci e, assemblandoli insieme, costruivo la perimetria di una casa per terra”.
Daniela è nata a Milano, cresciuta a Vasto e ha svolto i suoi studi di architettura a Roma ma, in un certo senso, ha iniziato a prepararsi al design di interni sin da piccola, quando, come racconta lei: “Entravo a casa delle mie amichette o delle amiche di mia madre e… la prima cosa che notavo era come era arredata la casa” e pronuncia questa frase con una sacralità che non rende difficile immaginare questa bambina che si preparava quasi a una sorta di rito prima di varcare la soglia di una porta di ingresso. “Ho frequentato il liceo scientifico a Vasto, mi piaceva disegnare, però se ero obbligata a farlo ero più restia. Finché alla fine i miei non si arrabbiarono e mi fecero capire che dovevo impegnarmi, perché ero brava. In quarta liceo, infatti, realizzai una prospettiva disegnata a mano e colorata a pastello talmente bella che la professoressa non credeva che l’avessi fatta io, per questo non mi mise 10, ma 9 e mezzo, a beneficio del dubbio” (chissà se adesso ci crede…ndr).
“Quando poi è arrivato il momento dell’università mia madre non voleva che facessi l’architetto, mi diceva: Per una donna è più facile dedicarsi ad altre cose, come l’insegnamento”. Il mondo dell’architettura infatti potrebbe sembrare qualcosa dove gli uomini spiccano di più, se si pensa a molte delle archi-stardel nostro periodo, in realtà Daniela mi segnala il nome di Zaha Hadid, venuta a mancare qualche anno fa (ed effettivamente i suoi lavori sono spet-ta-co-la-ri) e anche la sua professoressa di tesi, Guendalina Salimei, proprietaria del T-Studio di Roma e poi, ovviamente, c’è Daniela. Quando racconta del suo lavoro colpisce che non c’è qualcosa di prestrutturato da seguire, nessuna scaletta di cose da adempiere per arrivare all’obiettivo. C’è una naturalezza sconfinata in quello che è il suo lavoro quotidiano che sorprende piacevolmente. Tranne per un passaggio: “Quando devo progettare, mi isolo. Mi metto al tavolo, allontano il telefono, metto le cuffie. Ascolto di tutto, ma mi piacciono in particolare i Marlene Kuntz. Li ascoltavo molto durante il mio periodo universitario, quindi ci sono molto legata”.
Parlando con Daniela Spagnoli, soprattutto in occasione della Giornata Internazionale delle donne, ci si rende subito conto che non è specificamente in questa giornata che si celebra qualcosa – un miracolo, per alcuni, quello della donna -, ma davvero nella vita quotidiana di tutti i giorni. Una donna, che fa quello che fa e lo fa bene, un architetto, una creativa. E si potrebbero cambiare i fattori ma il risultato sarebbe sempre lo stesso.
“Il mio materiale preferito è il ferro, perché è pazzesco. Ha una moltitudine di lavorazioni, un po’ come il legno, ma al tempo stesso ha molto carattere perché è un materiale estremamente forte e resistente”.