Poco più di un mese fa Don Domenico Spagnoli, parroco di Santa Maria Maggiore, ha pubblicato il libro Te Deum di un parroco, una raccolta di 10 catechesi su diversi temi globali e locali accompagnate da dieci opere d’arte, accuratamente selezionate dalla professoressa Lina Di Biase.
Innanzitutto, da dove nasce questa scelta? Qual è il rapporto tra l’arte e la religione?
Il rapporto tra l’arte e la religione è quasi simbiotico. I primi inni delle comunità cristiane erano sicuramente cantati e i simboli cristiani (come prima quelli ebraici) venivano incisi sulla pietra. Ogni esperienza di evangelizzazione si trascina dietro di sé l’arte che, attraverso le rappresentazioni sulle mura degli edifici di culto, ha assunto nel tempo la funzione di Biblia pauperum (la Bibbia dei poveri): quando non si sapeva leggere, nelle Chiese antiche si vedevano le immagini che rappresentavano il ciclo dell’Antico e del nuovo Testamento. Il legame dunque è fortissimo. Io, semplicemente per una mia sensibilità personale, ho voluto affiancare a questi dieci interventi dieci opere d’arte con l’aiuto della docente Di Biase.
Ho trovato interessante il suo Te Deum del 2013 per due motivi: le tematiche sociali trattate e l’importanza di quell’anno per la Chiesa. Fu infatti simbolico: un papa dimesso e un papa che scelse il nome Francesco, ripreso dall’omonimo Santo, con la missione di dare un volto moderno alla Chiesa. Secondo lei, dopo sette anni, questo volto ha preso una sua forma?
Papa Francesco in realtà non sta inventando nessuna Chiesa nuova, ci sta solo ricordando che il Vangelo va letto in profondità e va vissuto. Non c’è una contrapposizione tra una Chiesa del “passato” e una Chiesa del “presente”, c’è invece la continuità della missione della Chiesa. L’accoglienza dei migranti, ad esempio, è sempre stata un dovere della Chiesa: nella fede ebraica lo straniero è sacro perché il popolo ebraico è stato in terra straniera più volte, si pensi all’Egitto o in Babilonia, e quindi doveva ricordarsi di trattare con rispetto lo straniero. Bisogna, dunque, comprendere oggi quale risposta dare al Signore delle sfide contemporanee se vogliamo essere fedeli a noi stessi e al Vangelo che abbiamo ricevuto.
Come ho già accennato, in quel Te Deum vengono toccate due tematiche sociali importanti: l’ecosostenibilità e il recupero della fiducia tra le persone. Con la pandemia in corso, sono tuttora attuali?
Certo, il problema è antico. Da quando c’è la Rivoluzione industriale si è attivato un meccanismo in cui tutto lo sviluppo ha mirato al profitto. Quando si guarda solo a quest’ultimo e non a un’economia integrale, è chiaro che i danni rischiano di essere irreversibili. Noi siamo l’ultima generazione in grado di fare qualcosa per invertire la rotta e prenderci cura della Casa comune che è la Terra. Oltre la scienza e le istituzioni, anche il Papa è in prima linea. Già nel 2015 nell’enciclica Laudato sì aveva invitato i fedeli al rispetto del creato, la nostra casa comune. Non solo lui anche gli altri Papi in passato. Forse ci voleva una pandemia per farci rendere conto che l’indifferenza verso il creato e l’egoismo producono danni comuni all’intera umanità. Credo che tutti siamo chiamati a vivere con responsabilità cambiando il nostro stile di vita.
Luca Marinozzi