Riceviamo la lettera di un lettore di Zonalocale che, nelle scorse settimane, ha dovuto salutare per l’ultima volta il suo papà.
Ci chiede di non pubblicare il suo nome, né quello del genitore, “perché è assolutamente inutile dare a queste mie parole un valore di tipo personale”. Accettiamo la sua richiesta.
“Morire al tempo degli eroi”, è il titolo del testo, intriso di amarezza. “Mio padre è morto. È morto come, prima o poi, muoiono tutti i padri. È morto, derubato della tenerezza che meritava e che forse non tutti i padri meritano. È morto al tempo del covid senza aver conosciuto il covid. È morto al tempo degli eroi senza averli mai incontrati. È morto solo. Ha sofferto mio padre. Tanto. Troppo. Abbiamo sofferto noi. Tanto. Soli. Noi e lui”, racconta il nostro lettore.
“Mio padre è morto. Eppure qualcuno ci ha fatto quasi credere per mesi che il dovere di un paese civile fosse difendere e tutelare i propri anziani a tutti i costi. Ci ho creduto per un po’. Per molto poco. Ma mio padre è morto. Anziano e malato. E mai tutelato. Ma non è morto di sola malattia”, afferma il figlio. “Non so di chi o di cosa sia la colpa ma so di certo chi non dovrò mai ringraziare. Non dovrò mai ringraziare una medicina di base assente e impaurita, chiusa in sé stessa e nelle sue burocrazie. Sorda alle richieste di aiuto. Incapace di abbandonare per un solo attimo le scrivanie blindate e i bunker in plexiglass per vedere da vicino un vecchio padre che sta per morire.
Capace solo di temporeggiare senza decidere riversando sulle famiglie il peso improbo della scelta e della gestione. Non dovrò mai ringraziare una medicina specialistica scollegata e sufficiente, inadatta a leggere sintomi che l’evidenza sollevava da ogni equivoco. Inerte e autoreferenziale, non coordinata e non coordinante. ‘La questione non è di mia competenza!’ la frase più gettonata. Una persona malata, la sua sofferenza, sarà pur di competenza di qualcuno. Non dovrò tanto meno ringraziare una nutrita schiera di medici esaminatori che si rifiutano di valutare a casa sua l’invalidità di un uomo di più di 80 anni e meno di 50 chili di peso costringendomi ad infliggergli la sofferenza di portarlo al loro cospetto a due mesi dalla morte. Per cosa poi? Per veder confondere dignità e autosufficienza. ‘Cosa è questa?’ chiedono a mio padre mostrandogli una bic – ‘Una penna’ risponde. ‘Chi è lui?’ gli chiedono ancora indicandomi – ‘Mio figlio’ risponde ancora correttamente questo arzillo vecchietto morente. ‘Ma mi dica… E’ sempre stato così magro?’. ‘Andiamo papà, torniamo a casa’. Mio padre è morto e, a due mesi dalla ‘visita’ e tre settimane dopo la morte, questa analisi minuziosa e specialistica, ci ha spiegato, per raccomandata postuma, che mio padre era sì malaticcio ma tutto sommato stava benone.
Non degno quindi – sostiene il figlio – di qualche mia giornata di lavoro per assisterlo o tanto meno di qualche sostegno economico ma di determinanti agevolazioni nei parcheggi, quelle sì”.
Il lettore racconta di aver dovuto far portare in ospedale il papà “sofferente e malato sulla barella di un’autoambulanza privata”, di non aver trovato l’umanità che si aspettava e che, “dopo sette atroci ore in barella smarrito, assetato e solo, ho visto mio padre vivo per l’ultima volta. L’ultima straziante carezza prima di vederlo ingoiato da un ospedale che non lo voleva e nel quale francamente avrei preferito non essere costretto a portarlo. Mio padre è morto, dieci giorni dopo, senza mai averlo potuto rivedere, con la sola speranza, labile e malamente riposta, che la sua dignità e quella di altri come lui, i nostri anziani, sia stata rispettata. Non ne sono affatto sicuro. Che strano il tempo degli eroi. E che strani questi eroi al tempo del Covid”.
Zonalocale ha contattato l’ufficio stampa della Asl Lanciano-Vasto-Chieti. L’azienda ha deciso di non replicare.