Fino al 08 novembre era quasi diventata una “non-notizia” le statistiche che ti arrivano continuamente sul Covid19: sono numeri, e poi sono lontani; a Vasto pochi casi. Vabbè mettiamo la mascherina, zona arancione, laviamo le mani spesso, distanziamento, bla bla bla …. Va bene ma tanto non mi tocca.
Poi mi sveglio in piena notte con una febbre strana a 37,5. E’ novembre avrò beccato il raffreddore.
No.
La febbre i primi giorni sta là ed il raffreddore non si vede. Mia moglie mi dice “è meglio se fai un tampone rapido”. “Si ora lo prenoto. Mi dicono la prima data per il 17”. Ma lei insiste “prova altrove”. Va bene, trovo disponibilità per il 12.
Fastidioso, però, sto tampone sparato su per le narici che sembra arrivi diretto al cervello. “il risultato per le ore 15, ma se siete positivi vi contattiamo via telefono entro le 13” dicono al laboratorio di analisi a tutti i presenti: siamo in 4, faccio subito. Alle 12,30 ti squilla il telefono e non è un numero solito. “l’esito del tampone è positivo”.
“Diamine” e ora? Sono passati 4gg , è vero che sono stato distante da moglie e figlia, ma se l’ho passato pure a loro?” Maledizione. Chiamo subito il medico che mi avrà visto si e no 3 volte in 10 anni: li per li nemmeno capisce chi sono, visto che i primi contatti telefonici li ha avuti con mia moglie.
Mi prenota subito il tampone molecolare al Drive in di Gissi per il giorno dopo, il 13. Qua l’operatore ha una mano “vellutata”, nemmeno me ne accorgo che ha fatto il prelievo. E si, bisogna pure saperli fare sti tamponi!
[ads_dx]Il viaggio nel tunnel era comunque già iniziato la sera del 12: la febbre comincia a salire e si va in crescendo con la Tachipirina; la notte non si dorme. Inizia una stanchezza che prima mi fa stare sul divano, poi mi piega al letto e mi fa alzare solo per andare a fare il minimo indispensabile in bagno. La notte non termina mai: non si dorme, mi rigiro senza fine nel letto, non trovo una posizione che mi dia sollievo nemmeno per 2 minuti; gli incubi mi divorano il sonno. Nella tarda serata del 16 arriva l’esito “positivo”, solo per me, almeno moglie e figlia anche in quei 5 giorni non l’hanno beccato. Ora si comincia effettivamente con isolamento domiciliare e monitoraggio sanitario.
E’ una discesa e non vedi la fine: è vero ho solo febbre che arriva quasi a 40 (perché la tachipirina che prendo come se fossero caramelle) me la tiene sotto controllo; respiro bene, ma mi dicono che la situazione potrebbe precipitare improvvisamente.
Solo nella stanza, con mia moglie che ogni sei ore fa capolino dalla porta e mi dà la “dose” di Tachipirina e se ne va. Lei che in piena notte si presenta per misurare temperatura e ossigenazione, da riportare con metodo analitico al medico la mattina successiva. Il medico fa quello che può, è presente telefonicamente ma le dice “se peggiora deve chiamare il 118” ed io che penso “no no in ospedale no, se ci entri….”. Lei che in questi giorni è di colpo diventata la controparte telefonica di tutti: medico di base, medico dell’USCA, della ASL, dei parenti, amici. La sento parlare continuamente per aggiornare tutti: mai sentita così tanto tempo (al di fuori del lavoro) al telefono!
Sembrano nulla il 14, il 15, il 16, il “17” e la metà del 18. Ma posso assicurare che non passavano, non terminavano, non finivano, mai. Poi nel pomeriggio del 18 la febbre inizia ad andare giù: spero non sia una tregua. Comincio a sentirmi un po’ meglio, un po’ alla volta sento che il corpo riacquista quella forza che nei giorni scorsi non avevo nemmeno per alzarmi ed andare in bagno. Mi addormento e quando mi sveglio è l’alba. Non può essere ho dormito 8 ore di fila. Mi alzo dal letto di slancio e mi torna in mente Marty McFly nel film “Ritorno al futuro” quando suona la chitarra sul palco della festa scolastica nel ’68, nel momento in cui ristabilisce il corretto flusso temporale: da quasi morto torna a piene forze.
Ed ora faccio il “criceto” per qualche altro giorno, girando per la camera e potendo fare un po’ di lavoro da casa via PC: il tempo passa ed almeno mantengo il ritmo, sennò quando si torna al lavoro dopo tre (speriamo) settimane non mi ricordo nemmeno come si accende.
Ho il primo tampone molecolare di verifica il 23. Vedremo e intanto pazienza, poi tornerò alla famiglia, alle chiacchierate, alle uscite, alla bici.
Perché ho voluto ammorbarvi con questo testo?
Perché il “mio Covid” è stato una brutta bestia, sicuramente meno bestia di quello di altre persone a casa con più sintomi, o ricoverati o intubati. Chi mi ha raccontato la propria esperienza me l’ha descritta in modo simile: sarà uno di quei brutti ricordi che ti porterai dietro per sempre, e sarai grato di poterlo raccontare.
Perché il tempo poi affievolisce le sensazioni e se le scrivo può darsi che ogni tanto vorrò ricordarne il monito.
Perché anche se ho sempre rispettato le prescrizioni, non è bastato: ha trovato quell’attimo di distrazione e leggerezza e la bestia, colpisce. Duro.
Perché stare a casa ed applicare il distanziamento, quando ti succede, è indispensabile se vuoi bene ai tuoi cari e loro stessi lo devono fare per loro e per te.
Eppoi, non è vero che il sistema sanitario non funziona: il medico di base, gli operatori della ASL, la dottoressa dell’USCA che mi ha visitato a casa (vederli in TV fa un effetto, ma dal vero in casa tua per te, imbardati come stessero per entrare nel luogo più insalubre che non immagini sia casa tua… beh) ti rendi conto che fanno tutto quello che possono, perché non ci sei solo tu colpito e a casa. E non ti abbandonano: ti chiamano per telefono e ti seguono. A poco servirebbe vederseli a casa ogni giorno: l’importante è che sai che quando chiami rispondono e mia moglie me ne ha dato conferma.
Perchè quello che dicono di fare lo dobbiamo fare anche se ci sembra stupido e inutile. Io l’ho fatto eppure, l’ho scritto, non è bastato: sto virus democratico e vile riesce a trovare il momento che cedi un attimo. E ti lascia il ricordo: a te o chi vuoi bene.
Quindi, un abbraccio ed un grazie immenso a mia moglie (che dovrà passare altri giorni a dormire sul divano) e mia figlia; alla dottoressa AnnaMaria Pace, puntualmente al telefono; al personale della ASL ed alla dottoressa che mi ha visitato a casa (mi scuso per lo stato in cui ero, ma erano giorni che non potevo curare la mia persona); a tutti gli amici e parenti che continuamente scrivevano msg e telefonavano ed ai quali ho risposto con ritardo (ma certi giorni il telefono proprio non lo volevo né vedere né sentire); alla mia azienda che ha subito attivato i protocolli previsti e attende pazientemente il mio rientro. Per ultimo, al sindaco Menna, che la sera del 18 non mi ha fatto mancare una telefonata. Stavo appena riprendendo le forze, non gli ho prestato nemmeno tanta attenzione. Gli va dato grande merito che, tra gli impegni che ha, un attimo per una telefonata ai Vastesi colpiti dal Covid lo trova, e si mette a disposizione per quel che può.
Grazie, e vi auguro con tutto il cuore di NON incontrare questa bestiaccia. Ma se doveste incrociarla, fidatevi e seguite ciò che le strutture preposte vi dicono di fare, e se “qualcuno” vi vuole bene l’assist decisivo ve lo darà.
Buon “strano” Natale 2020.
Andrea Orazietti