La professoressa Emma Di Carlo, professore ordinario presso l’Università G.D’Annunzio che dirige l’unità operativa di Anatomia Patologica e Immuno-Oncologia del CAST, è alla guida di un progetto finanziato dall’Airc per lo sviluppo della cura dei tumori alla prostata attraverso l’immunoterapia personalizzata utlizzando la nanotecnologia. Nel periodo dei Giorni della ricerca, in cui l’Airc pone l’attenzione sui professionisti impegnati in importanti progetti in campo oncologico. Abbiamo colto la preziosa occasione di strappare per un po’ di tempo la professoressa Di Carlo all’attività del suo laboratorio per capire come, con la sua equipe, sta portando avanti il progetto di ricerca che punta ad un’alta efficacia e alla minimizzazione degli effetti collaterali della terapia oncologica.
IL PROGETTO DI RICERCA. Si tratta dello step evolutivo di un precedente progetto finanziato dal Ministero della Salute che ha dato dei risultati di notevole importanza. “Con il finanziamento Airc ho preparato un disegno sperimentale per traslare i risultati di quel progetto sul piano clinico, quindi più vicino al paziente. I nostri studi hanno provato che, nell’ambito del carcinoma della prostata, c’è una molecola che svolge un ruolo molto importante nel promuovere la proliferazione del tumore, nell’indurre uno stato di immunosoppressione nel micro-ambiente tumorale per favorire la progressione del tumore e lo sviluppo di metastasi. Queste metastasi sono la causa della morte legata al cancro della prostata, secondo tipo di tumore maschile per frequenza nei Paesi Occidentali dopo quello del polmone”. Con queste proporzioni è evidente l’impatto sulla salute pubblica e quindi l’importanza degli studi in corso.
“Con il progetto quinquennale dell’Airc possiamo portare avanti una nostra scoperta sul ruolo di una piccola molecola, denominata Interleuchina(IL)-30 (Clin Cancer Res., 2014 Feb 1;20(3):585-94; Cancer Res. 2018 May 15;78(10):2654-2668). Queste molecole hanno un ruolo nel sistema immunitario ma, nel contesto della genesi del tumore, ne favoriscono lo sviluppo e la progressione. Avevamo scoperto che questa molecola è un fattore di crescita per le cellule staminali tumorali prostatiche e abbiamo dimostrato che, bloccandone la produzione, venivano bloccata la capacità delle cellule staminali tumorali di generare tumore e inibita la capacità metastatica delle cellule tumorali, cioè la capacità di disseminarsi e andare a colonizzare midollo osseo, polmone e altri organi”. I risultati di quello studio sono stati pubblicati su una rivista scientifica internazionale Journal for Immunotherapy of Cancer (J Immunother Cancer. 2019 July 31;7(1):20).
[ads_dx]”Le evidenze sperimentali erano molto stringenti e ora, con il progetto Airc, questa idea può essere sviluppata. Il progetto prevede di utilizzare un modello animale sperimentale che sviluppa spontaneamente cancro della prostata in base a una mutazione genetica. Ma non si utilizzerà solo questo modello animale, verranno sviluppati dei modelli in vitro, a partire da tessuto e cellule del sangue di pazienti con cancro della prostata. In maniera artificiale verranno ricostruite, su delle piattaforme estremamente tecnologiche, i tumori della prostata del paziente stesso a partire dalle sue cellule tumorali e dalle sue cellule del sistema immunitario. Si riprodurrà in vitro una specie di organo artificiale che non è una semplice coltura cellulare ma è un sistema che riproduce il micro-ambiente immunologico, la componente vascolare e connettivale del tumore di origine”.
IL METODO DA “PREMIO NOBEL”. “Nel contesto di questo organo artificiale riprodotto in laboratorio verrà testato il sistema di inibizione della molecola IL-30 – che ha attività di fattore di crescita e di immunosoppressione – e quindi, in questi modelli, si studierà l’efficacia del “targeting” selettivo della molecola. Si realizzerà la soppressione di questa molecola per vederne l’efficacia. Si sta procedendo con il sistema dell’editing del genoma, cioè la manipolazione del genoma con un sistema tecnologico innovativo che ha consentito di guadagnare il Nobel per la chimica alle due professoresse Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier. Il metodo in questione consente di eliminare dal Dna un gene che produce una specifica proteina – in questo caso la nostra IL-30 che ha un’attività tumorale -. A differenza dei metodi precedenti questo è abbastanza selettivo, consente il taglia e cuci del Dna e l’eliminazione del gene di interesse, evitando di colpire altri sistemi. Nel nostro progetto Airc si prevede, con questo sistema, di sopprimere il gene responsabile della produzione di questa molecola ad attività pro-tumorale. L’idea innovativa è quella di utilizzare la nanotecnologia, quindi sistemi di nanoparticelle biocompatibili e costituite da sostanze già approvate per l’uso clinico dall’Agenzia Europea del Farmaco. Si sfrutteranno questi nanovettori per veicolare queste forbici molecolari che devono raggiungere esclusivamente la sede di sviluppo del tumore, con la prospettiva di evitare effetti collaterali. Si mira alla selettività, per cui il nanovettore si deve sviluppare in modo da raggiungere solo il tumore e i focolai metastatici che eventualmente si fossero sviluppati in altre sedi”.
LE APPLICAZIONI PER LA SALUTE. “Siamo già nella fase della sperimentazione animale, che utilizziamo nel pieno rispetto dei limiti etici. Io sono il principal investigator (la responsabile e coordinatrice del progetto) e sono affiancata da una serie di collaboratori che operano, oltre che nel nostro Centro Ricerche di Chieti, in diverse università italiane come quelle di Bologna, Padova, Pavia ed estere come quelle di New York, San Diego e la Jinan University, in Cina. È una rete di cui fanno parte ricercatori con diverse specializzazioni. Negli studi sugli animali “stiamo mettendo a punto la farmacodinamica e la farmacocinetica di queste particelle. Dobbiamo innanzitutto valutarne la biodistribuzione, cioè la capacità di questo vettore di raggiungere e fermarsi dove si trova il tumore. Poi passeremo nella seconda fase, caricando su questi nanovettori queste forbici molecolari per colpire in maniera selettiva il gene responsabile della sintesi e produzione della molecola da noi studiata. Tutto parte dal dato di fatto che l’immunoterapia, che adesso sta avendo successo in vari tipi di neoplasie, in stadio avanzato non risulterebbe efficace per il trattamento del cancro della prostata. Questo perché nel microambiente del cancro prostatico c’è una condizione di immunosoppressione imponente. A differenza di altri tumori, il tumore della prostata è formato da tanti focolai di tumore incastonati in un tessuto connettivale molto robusto che è molto difficile da penetrare con i farmaci”.
UNA SVOLTA PER L’EFFICACIA DELLE CURE? “Innanzitutto bisogna considerare i dati in maniera rigorosa. Oggi non è possibile annunciare già il passaggio in clinica. L’Airc finanzia le ricerche coprendo un periodo di cinque anni che consente di mettere a tiro la tua progettualità perché in ogni step si incontrano una miriade di difficoltà. Più ti avvicini alla realizzazione verso il paziente e più puoi incontrare delle difficoltà. È sempre sbagliato annunciare qualcosa prima di averla completata. Noi stiamo facendo ogni sforzo per avvicinarci alla clinica. Pubblicare è bello, dà sicuramente soddisfazioni, ma ci interessa poterci avvicinare al problema pratico. Il nostro attuale obiettivo è avvicinarci al successo sperimentale che ci consentirà poi di produrre una formulazione di vettori che possano essere sperimentati nell’uomo. Di recente ho allargato le mie collaborazioni perché voglio tentare tutte le formulazioni di vettori per scegliere quella migliore sotto il profilo dell’efficacia e della compatibilità per ridurre al massimo il rischio collaterale. Nel momento in cui raggiungeremo dei risultati solidi nel modello animale e del modello in vitro si potrà ragionare su una formula da proporre alla sperimentazione umana”. C’è ottimismo però, allo stesso tempo, molta cautela perché occorre avere dei dati molto solidi sempre seguendo, come è costume dell’Airc, un’analisi estremamente rigorosa dei risultati che vengono vagliati a livello internazionale.
IL LAVORO DI SQUADRA. In un progetto di ricerca “credo sia fondamentale la determinazione, bisogna interagire costantemente con tutte le componenti, mantenere alta l’attenzione. È quasi come svolgere una battaglia, possono esserci degli insuccessi che causano grande sconforto ma, all’indomani, si riparte con una maggiore determinazione e desiderio di raggiungere gli obiettivi. Qui a Chieti sono coaudiuvata da giovani leve e sono sempre alla ricerca di nuovi talenti perché la ricerca va sempre alimentata con nuovi professionisti, anche se diventa sempre più difficile reclutarli perché è un lavoro che richiede particolare dedizione. È un grande impegno ma è anche una grande soddisfazione ed un onore poter lavorare per Airc, poter lavorare per la nostra società, diciamo da dietro le quinte. In questo periodo di pandemia abbiamo dovuto rallentare il nostro programma ma non abbiamo mai interrotto. È stata data possibilità alla ricerca di andare avanti. Ho subito manifestato la necessità di non fermarsi, perciò io ed il mio gruppo ci siamo organizzati con dei turni per ridurre le presenze in laboratorio. Ho subito fatto presente alla dirigenza della nostra Università che non era possibile interrompere e buttare via soldi e lavoro di diversi ricercatori e che quindi eravamo disposti, con l’adozione di tutti i dispositivi di sicurezza necessari, ad andare avanti. C’è stata grande disponibilità da parte di tutti i componenti del gruppo ad organizzarsi evitando così l’interruazione delle attività”.
LE POTENZIALITÀ DELLA RICERCA. “C’è sempre un margine di miglioramento e potenziamento per poter fare di più. L’appello è alle autorità affinché siano più accorti verso l’attività di ricerca non considerandola come “figlia di un Dio minore” e invece è motore per il progresso. È anche un volano per l’economia perché, grazie ad Airc, si riescono a bandire delle borse di studio per giovani- che lavorano con grande impegno e spesso senza orari – ed offrire loro delle opportunità di crescita culturale e professionale. Spesso non si fa abbastanza per proteggere la ricerca. Tutti dovremmo sostenere la ricerca e chi fa questo tipo di lavoro. Non dobbiamo ricordarcene solo nei momenti di crisi perché la ricerca richiede tempo, non la metti su in 15 giorni. Oggi la ricerca sul Covid non deve far dimenticare quella in campo oncologico. Le dirigenze, a tutti i livelli, devono tenere in considerazione che bisogna preparare dei piani, sentirsi più responsabili nel preservare la ricerca dalle problematiche e ricordarsi che la ricerca oncologica si incrocia con quella virologica e immunologica. Non esistono compartimenti stagni, c’è una correlazione tra vari ambiti di competenza, la multidisciplinarietà è importante”.
I PROGETTI AIRC. I fondi sono assegnati dall’Airc a progetti che hanno superato un vaglio internazionale. “La peer review dura un anno, tant’è che questo nostro progetto era stato scritto nel 2018, è maturato, ha subito dei suggerimenti in base a delle revisioni internazionali. Si aspettano mesi prima di poter sapere se è approvato. Ed è per questo che i progetti che arrivano nella nostra Regione dovrebbero essere valorizzati. Sono uno stimolo al progresso scientifico ma rappresentano anche un motivo di sviluppo culturale, sociale ed economico”.