In questi giorni si sente molto parlare di sistema sanitario, soprattutto con accezione negativa, dato che ormai sono diversi i nosocomi che lamentano di essere quasi arrivati a regime di portata per quanto riguarda i malati nei reparti dedicati al Covid-19.
Ma come funziona tutto il sistema di prevenzione e controllo che c’è prima del tampone e del relativo esito?
Una testimonianza di un cittadino vastese, Luigi La Verghetta, fa un po’ luce e segnala che forse qualche falla, in un periodo intenso come quello che stiamo vivendo in questi giorni, c’è.
“Domenica 18 ottobre sono andato a prendere un caffè in una pasticceria a Vasto, unico spostamento rilevante della giornata in cui mi sono trovato in mezzo ad altre persone. Quattro giorni dopo, ovvero giovedì 22, mi è arrivata la notifica dall’app Immuni per essere ipoteticamente entrato in contatto con una persona positiva. Nella notifica c’era anche l’invito a prendere provvedimenti tramite il mio medico curante. Subito ho avviato le pratiche per effettuare un tampone, che mi è stato detto di andare a fare al drive-in di Gissi. La mattina prestabilita mi sono svegliato di buonora per evitare eventuali file e alle 9:30 ho effettuato il tampone e sono tornato a casa ad attendere l’esito in isolamento”.
Questo il racconto delle ore immediatamente successive alla notifica sul cellulare inviata a Luigi dall’app di contact tracing Immuni, ad oggi scaricata da più di 7 milioni di italiani e che, secondo dati aggiornati ai primi giorni di ottobre (ndr fonte: La Stampa), avrebbe inviato circa 6.000 notifiche a persone probabilmente entrate in contatto con dei contagiati (nella maggior parte dei casi ancora ignari di esserlo). Questo invio di notifiche è rapportato a un numero di 357 contagiati: ovvero utenti dell’app che hanno inserito il proprio codice dopo aver scoperto di essere affetti da Covid.
“Per quanto riguarda l’organizzazione del drive-in, non posso lamentarmi, era tutto okay, il problema è sorto successivamente”. Infatti, ad oggi, Luigi non ancora riceve il risultato del tampone ed è così obbligato a rimanere in casa fino allo scadere dei 14 giorni previsti per la quarantena. “Ho chiamato diverse volte i call center per segnalare il mio problema ma non sono mai stato richiamato, sono stato messo in contatto con il laboratorio analisi a Teramo e lì lo staff mi ha detto che nei loro database il mio nome e, quindi, il mio tampone, non comparivano”.
Di fatto, il tampone di Luigi potrebbe essere stato smarrito, ma in che punto della catena che lo doveva condurre al laboratorio analisi, non è dato saperlo. “Dal laboratorio mi hanno detto che ricevevano circa 3000 tamponi al giorno da analizzare, ma che del mio non c’era traccia”.
E così, in attesa di un risultato mai arrivato, Luigi è rimasto chiuso in casa fino alla fine dei quattordici giorni necessari per l’isolamento, senza purtroppo avere conferma o meno del tampone e non capendo nemmeno benissimo dove e quando sarebbe stato realmente a contatto con una persona positiva. “Sull’app c’è scritto che per ‘contatto’ intendono che sei stato per almeno 15 minuti e a distanza ravvicinata con un positivo, ma chiamando il centralino mi hanno detto che questa cosa purtroppo può variare, a volte anche parcheggiare con l’auto vicino ad un contagiato potrebbe essere segno di contatto. Ad ogni modo, posso capire l’errore umano ma io sono stato due settimane chiuso in casa e nessuno tra gli addetti ai lavori è riuscito a trovare una soluzione, tantomeno rimediare all’errore dicendomi cosa fare, se non di rifare il tampone recandomi di nuovo presso il drive in per ricominciare da capo tutta la procedura e costringendomi a restare un’altra settimana in casa per un errore commesso da loro. Credo che in questa situazione sia arrivato il momento che qualcuno si assuma delle responsabilità, perché il mio non è un caso isolato e spero che parlandone qualcosa migliori”.