Quattromila cassintegrati su seimila lavoratori. A conti fatti, sono i due terzi dei dipendenti delle oltre cento imprese associate ad Assovasto. Hanno ricevuto uno stipendio ridotto, in alcuni casi anticipato dalle aziende perché la cassa integrazione “ad alcune imprese è arrivata subito, ad altre in ritardo, ad altre ancora in forte ritardo”, dice Marcello Dassori, presidente dell’organizzazione degli industriali del Vastese, nata nel 1990 e associata a Confindustria. Insieme al direttore, Giuseppe La Rana, fornisce a Zonalocale i numeri che servono a raccontare i danni economici causati dalla pandemia, ma aggiunge: “Ci siamo rimboccati le maniche e siamo ripartiti”.
“Il virus ha congelato la produzione del 70% delle aziende locali nella fase del lockdown”, spiega La Rana. “Ad Assovasto sono affiliate 109 imprese, di cui il 90% ha richiesto la cassa integrazione e almeno il 60% ha fermato l’attività per scelta o per imposizioni governative. Dall’inizio della pandemia, le settimane di Cig sono state 9 più altre 9. I problemi arriveranno quando finirà questo ammortizzatore sociale” che gli imprenditori chiedono di prolungare, perché “darebbe la possibilità di organizzarsi e non chiudere, oltre alla valenza sociale determinata dalla salvezza dei posti di lavoro”, sottolinea Dassori. “La cassa integrazione è stata erogata a spezzatino, perciò diverse imprese hanno deciso di anticipare la cifra, altre invece hanno preferito demandare all’Inps e i ritardi hanno inciso sull’operatività delle stesse aziende. Alcuni imprenditori non hanno potuto riaprire per mancanza di commesse. Anche chi fa parte dell’indotto ha dovuto rallentare, se l’azienda di riferimento non ha avuto una buona ripresa. Maggio non è stato un mese semplice, anche perché fino al 3 giugno non ci si poteva spostare da una regione all’altra. Ora la maggior parte delle aziende ha ricominciato. Ci siamo rimboccati le maniche”.
Sul presente pesa l’incertezza delle regole: “Sui dispositivi di protezione individuale l’orientamento è stato ondivago: prima il Governo ha annunciato un credito d’imposta pari al 60%, poi si è accorto che le richieste erano molte di più del previsto, quindi ora pare che il fondo non debba coprire più del 15% delle spese. Sono costi aggiuntivi che minano l’efficienza delle attività produttive. Gli utili servono a reinvestire, per cui, se non riesci a snellire i costi fissi, questi incidono sull’operatività. Così grava tutto sulle nostre spalle e oggi, con un’economia in rallentamento di circa 10 punti, non è facile trovare lavoro e farlo con la stessa redditività. È vero che attendiamo il Recovery Fund, ma è una misura che non sarà operativa a breve. E poi il problema è che i parametri cambiano in corsa, basti pensare a quello che sta succedendo riguardo al bonus del 110% sulle ristrutturazioni. Di conseguenza, con regole che cambiano, ti devi affidare alle tue forze”.
La speranza è che i 209 milioni (ancora da erogare) dell’Unione europea vengano spesi bene: “Dal Recovery Fund – precisa La Rana – le imprese chiedono opportunità, cominciando col far ripartire le grandi opere. Le aziende vogliono lavoro. La principale vocazione produttiva del nostro territorio è legata all’automotive, un settore in cui è in atto la transizione dal carburante all’elettrico e alcune realtà locali stanno andando proprio verso la produzione di auto elettriche”.
Dassori lancia un messaggio agli imprenditori: “L’aggregazione ci consente di accedere all’innovazione, non solo del prodotto ma anche delle strutture, e alla digitalizzazione, su cui siamo indietro rispetto alle aziende estere. Quindi: innovazione unendo le forze. Siamo andati e continueremo ad andare a Bruxelles per portare le nostre proposte alle Commissioni con lo scopo di finanziare i nostri progetti e, appena emergono opportunità, intercettarle prima degli altri”.