“Veniteci, colleghi anestesisti, venite un giorno a Vasto, fatevi un giro al centro, mettetevi sotto l’arco di San Pietro e respirate il mare.
Io, se anche vivessi un’altra vita, tornerei qui”. Si conclude con questo appello il messaggio che Maria Amato, direttrice del reparto di Radiologia dell’ospedale San Pio da Pietrelcina, rivolge agli anestesisti vincitori del concorso indetto dalla Asl che rifiutano di prendere servizio nel presidio ospedaliero di Vasto [LEGGI].
“Non ci volevo venire”, scrive la dottoressa Amato in un articolato post pubblicato sul suo profilo Facebook.
“Se guardo indietro ricordo la mia resistenza. Volevo restare in ambiente universitario dove tutto sembra più lucido, dove non si è soli.
Mi ci ha portato mio padre, avevo bisogno di lavorare, volevo lavorare per lo Stato.
Lo Stato e il diritto alla salute, e il mio delirio di onnipotenza.
All’inizio, ho amato la radiologia, poi è cresciuto il legame forte con i colleghi, infine mi sono innamorata della città.
Ma la mia era un’altra epoca, il mio Professore faceva in modo che vivessimo le nostre opportunità di lavoro come una specie di diaspora, distribuendo su un territorio vasto i propri specialisti. Le nostre carriere erano il suo vanto.
Triste dirlo ma l’università non ragiona più così, ragiona per sé, con un cordone ombelicale che non recide.
Gli anestesisti, e non solo, possono scegliere se venire in periferia oppure restare a Chieti, perché finora è andata così: ‘vabbè a Vasto non ci vuole andare, non possiamo certo perderci una professionalità così rara’, oppure possono lavorare con i privati che dai tempi miei ad ora rappresentano una sicurezza diversa, forse meno ricatti e qualche soddisfazione in più, forse.
Mi fa rabbia, mi addolora ma a questi che dicono di no io li capisco, non condivido ma ne capisco le ragioni.
Eppure se ragionassero sul valore sfidante, se potessero guardare i numeri e il ventaglio della nostra produttività prima che questa voglia di accorpamenti ci riducesse al lumucino, forse la penserebbero diversamente.
Fiaccati ma resistiamo. Quello che dicono le mie parole è nello sguardo fiero dei miei colleghi, nella luce di ribellione degli occhi dei chirurghi. È nella coltellata che sento nel petto quando con ironia qualcuno chiede ‘ma che si fa, si lavora ancora in ospedale?!’
È in questa storia ipocrita che non si prenota, oggi abbiamo messo sulla tac 55 pazienti e 10 erano total body, 4-5000 immagini l’una.
È nella ribellione che provo di fronte a parole come topaia, o stato agonico, o ospedale che sta crollando.
Ripensateci, colleghi, non c’è sfida che tenga ad essere giovani in periferia, in una rianimazione attrezzata, certo non con la volontà e gli investimenti della politica, ma anche in questo caso per le lotte di anni di persone caparbie, e in questi ultimi mesi grazie alla spinta del territorio, con le donazioni della cordata solidale di imprese e lavoratori di cui Graziano Marcovecchio è volto e voce, tecnologie di supporto che darebbero gusto a qualsiasi appassionato di tecniche rianimatorie.
Trovereste nelle altre specialistiche colleghi giovani e qualche ‘vecchia gallina’ come me per ricostruire una ossatura rinnovata dell’ospedale, capace di affrontare la sfida dei prossimi anni.
E a chi mi diceva che essere contro gli accorpamenti è anacronistico, a chi diceva che non è importante quanto sia distante la direzione, continuo a rispondere ‘veniteci voi, provate sulla vostra pelle che significa dover fare i viaggi per avere, forse, udienza’.
L’inizio delle difficoltà coincide con la legge che ha cancellato la Asl Lanciano – Vasto col ‘nobile’ obiettivo di cacciare i Direttori senza pagare penali.
Veniteci, colleghi anestesisti, venite un giorno a Vasto, fatevi un giro al centro, mettetevi sotto l’arco di San Pietro e respirate il mare.
Io se anche vivessi un’altra vita, tornerei qui“.