E così anche questo “travagliato” anno scolastico è giunto al termine.
Mi risulta davvero difficile fare un’analisi dettagliata di questi ultimi tre mesi e mezzo trascorsi davanti ad uno schermo di computer (lo chiamano “smart working”… sigh!), perché i giorni si sono susseguiti tutti uguali l’uno all’altro. Dal lunedì alla domenica, dalla mattina sino a notte fonda, col sole o con la pioggia, con l’ansia o la speranza nel cuore… sempre davanti ad uno schermo.
Non ho un ricordo preciso dei giorni trascorsi, che sono confluiti in una sorta di nebulosa indistinta, in un buco nero da cui è risultato sempre più difficile uscire alla ricerca del volto dell’interlocutore. La sindrome della stanchezza digitale ha devastato un po’ tutti noi. La comunicazione a distanza è diventata un incubo per il nostro cervello.
Tutto, ormai, procede on-line. Il Covid-19 ci ha privati, in primis, dell’incontro “vero” con l’altro e, per tantissimi studenti dell’ultimo anno di scuola superiore, l’Esame di Stato rappresenterà l’ultimo rientro a scuola da alunni a partire dal famigerato 4 marzo, giorno di chiusura delle scuole per l’emergenza Coronavirus.
Un rientro un po’ anomalo, col volto seminascosto da una mascherina chirurgica, le mani ben cosparse di gel disinfettante, un misuratore di febbre piazzato sulla fronte, una distanza di almeno due metri dai membri della commissione d’esame, l’assenza di un libro da consultare all’ultimo minuto e di amici e parenti pronti a fare da supporter al candidato.
Non so come sarà ricordato questo periodo che stiamo vivendo nei libri di storia, ma so che lascerà una traccia indelebile in ciascuno di noi, soprattutto nei giovani maturandi, che legheranno per sempre il loro Esame di Stato al Covid-19, un microscopico mortale nemico, che è stato in grado di fermare il mondo.
Cari studenti, la speranza è che questo Esame di Stato 2020, “riveduto e corretto per causa di forza maggiore”, segni in maniera positiva la vostra vita. E non perché avete scampato le temute prove scritte o perché le commissioni d’esame saranno più clementi e, alla fine, anche i meno studiosi riusciranno a portarsi a casa un diploma. La speranza è che questo esame possa offrirvi occhi nuovi per leggere il mondo.
Un mondo dove niente va dato per scontato, dove la vita deve essere percepita come un dono unico, immenso, irripetibile, impegnativo, bellissimo e fragilissimo. Un mondo, di cui non siamo padroni ma ospiti, dove tutti gli uomini sono interconnessi tra loro e nessuno può salvarsi da solo.
Cari studenti, la scuola, questa bistrattata e vituperata Cenerentola, è stata vostra compagna di vita per tanti anni e, se glielo consentirete, continuerà a vivere con voi e grazie a voi. Quando siederete col cuore in tumulto dinanzi alla commissione d’esame, ricordate che non avete nulla da temere, perché la scuola siete anche voi, ai quali in questi anni è stato chiesto di imbracciare due “armi potenti” portatrici di vita e non di morte, di democrazia e non di tirannide, di libertà e non di schiavitù: istruzione ed educazione.
Anche con un diploma in tasca, continuate a nutrirvi dell’amore per il mondo che la scuola ha cercato di trasmettervi (probabilmente non riuscendoci sempre) attraverso lo studio. Solo amando il mondo con tutte le sue imperfezioni e cercando di migliorarlo salverete voi stessi dal nichilismo.
In questi lunghi anni di scuola vi siete alimentati di studio, parola che, in latino, vuol dire anche “amore”. Studiare vuol dire dare senso e valore alla nostra vita e a quella degli altri. Ecco perché non avete nulla da temere: perché avete amato e chi ama non può mai perdere.
Come mi piace sempre ricordare, la parola “amore” deriva, secondo una interpretazione etimologica, da “a-mors”, là dove la “a” è una alfa privativa greca, cioè un suffisso che nega la parola che segue, mentre “mors” significa “morte”. Amore, dunque, è “senza morte”. Là dove c’è l’amore, la morte viene sconfitta.
Chi studia ama il mondo e lo salva dalla morte, con buona pace anche del Coronavirus.
Buon Esame di Stato e, soprattutto, buona vita, cari ragazzi!