A causa della pandemia ancora in atto e delle restrizioni ad essa conseguenti le feste patronali di primavera qui a Fresagrandinaria, previste per il 1°, 2 e 3 giugno, quest’anno saranno molto ridotte.
Così, non ci sarà il plurisecolare pellegrinaggio a piedi al Santuario di Nuova Cliternia, una frazione di Campomarino (Cb), non ci saranno bande musicali, né giochi popolari e neanche la fiera e festa di Sant’Antonio alla Guardiola. I festeggiamenti saranno limitati alle novene, tridui e messe all’aperto, ma con alcune ovvie limitazioni.
Mai, a memoria d’uomo, neanche in tempo di guerra, è avvenuta una cosa simile. Doveva succedere ed è successo.
Il Santo Patrono di Fresagrandinaria è la Madonna Grande, ossia Santa Maria Grande. Grande perché considerata nella età senile, quindi una madonna anziana e senza bambino. Per questo i sinonimi sono Santa Maria Assunta e Santa Maria Maggiore. Una madonna il cui culto è molto sentito e la venerazione plurisecolare. Tanto che i nomi personali imposti nel passato rimandano alle varie fasi della vita terrena della Madonna: Concetta, Maria, Bambina, Immacolata, Annunziata, Grazia, Carmela, Addolorata, Consolata, Regina, Assunta, Incoronata.
La venerazione della santa Vergine è molto radicata: non c’è fresano che nella sua vita non abbia partecipato, almeno una volta, al pellegrinaggio diretto al santuario della Madonna, una volta chiamata di Colloredo, o di Ramitelli o del Saccione e che, tra l’altro, in passato rappresentava anche una tappa per chi era diretto a San Michele di Monte Sant’Angelo o a San Nicola a Bari.
Si ha documentazione scritta che già dal 1744, (vd. G.A. Tria) e chissà da quando, fresani e lentellesi “guidati da loro arcipreti” effettuavano il santo viaggio. Nel 1907, racconta l’allora parroco don Giuseppe De Martinis, parteciparono 500 fresani e 19 lentellesi. Sotto la pioggia e sotto il sole, con il vento o con l’arsura si doveva andare. Anche con asini e muli. Quando si dovevano guadare i fiumi Trigno, Sinarca e Biferno in piena, si formava una catena umana, mano con mano in modo fraterno. Una volta per attraversare i corsi d’acqua si usava anche la scafa, una specie di zattera manovrata con funi. Un anno si dovette attraversare il Trigno in piena sul ponte della ferrovia a San Salvo e si arrivò alla meta col buio pesto.
La notte si passava in chiesa cantando e pregando e dormicchiando sul pavimento. Si andava a piedi e a piedi si ritornava.
Tale consuetudine non è mai venuta meno: nell’ultimo ventennio la media dei pellegrini si è mantenuta sui 120/150 anche con la partecipazione di lentellesi e giovani forestieri francesi e tedeschi.
Ci rifaremo l’anno che verrà. A Dio piacendo.
Pierino Giangiacomo