“In questi mesi c’è un grande fermento da parte dei medici nel fare ricerche, approfondire, studiare dati per aiutare a gestire meglio le cose”. Carla Felice, vastese, e suo marito Ugo Grossi, calabrese, sono medici in servizio ormai da qualche anno all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso. A fine marzo hanno contratto il Coronavirus e, nei giorni in cui sono stati costretti a rimanere a casa per curarsi, hanno deciso di dare il loro contributo al grande movimento di ricerca che attraversa tutto il Paese. “Di natura siamo portati a studiare – racconta Carla Felice -. Non siamo virologi o infettivologi, io mi sono sempre occupata di malattie croniche intestinali e qui a Treviso sono in pronto soccorso, mio marito è chirurgo. Ma lo spirito è unico. Per chi è portato a fare ricerca era impossibile rimanere fermo a guardare davanti a un evento così grande e significativo dal punto di vista di quanto abbia rivoluzionato la vita delle persone”.
I due medici avevano “sempre seguito con molta attenzione l’evoluzione della pandemia, guardando tutti i giorni i dati e vedendo come il Veneto si comportasse in maniera differente dalla Lombardia, nonostante siano regioni confinanti. In Veneto abbiamo potuto osservare in prima persona quanto impegno c’è stato nell’elaborare protocolli sempre aggiornati. Il nostro ospedale è stato rivoluzionato per la gestione dei pazienti Covid”.
Il punto di partenza dello studio per confrontare Lombardia e Veneto è in una erronea affermazione dei cinesi “i quali sostenevano che gli asintomatici fossero pochi. Ma poi si è visto che non era assolutamente così ed è quello che ci ha messi in difficoltà”. Le due Regioni si sono comportate diversamente e i due coniugi medici hanno potuto fare il raffronto nella gestione dell’emergenza, con osservazioni “validate dagli stessi lombardi. Uno studio fatto da nostri colleghi è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine da un gruppo dell’ospedale di Bergamo”. Lo studio di Carla Felice e Ugo Grossi, insieme al collega Giacomo Zanus, direttore della quarta chirurgia di Treviso, è stato pubblicato sulla rivista Infection control & Hospital epidemiology, legata alla Society for healthcare epidemiology of America, e condiviso anche dall’università di Cambridge.
[ads_dx]”Abbiamo poi pensato di fare un questionario a livello nazionale per gli operatori sanitari, dopo esserci confrontati con molti amici medici in tutta Italia che evidenziavano come in molti territori ci fossero delle profonde carenze”. Il questionario è stato disponibile online per la compilazione a fine marzo, “nel periodo peggiore per il nostro Paese. Hanno risposto in 400 permettendoci di descrivere realisticamente la situazione vissuta dagli operatori della sanità, tra la carenza di dispositivi di protezione o un 25% di sanitari che hanno manifestato i sintomi dei Covid ma che, per la metà, non hanno mai fatto un tampone. O le tante situazioni in cui non c’erano dei protocolli di screening per gli operatori sanitari. I dati sono stati analizzati e commentati e il lavoro è già stato accettato per una pubblicazione. L’obiettivo era creare una base per gli altri Paesi, così da migliorare tante situazioni”.
Ma le criticità riscontrare in Italia sono simili a quelle di tanti alti Paesi europei. “Eravamo tutti impreparati a gestire una situazione del genere. Del resto è la prima volta che si verifica un’epidemia di questa portata in epoca moderna in cui c’è una possibilità di diffusione maggiore rispetto al passato. Basti pensare ai mezzi di trasporto, ai movimenti che le persone fanno oggi rispetto al passato”.
La passione per la ricerca e lo studio è un qualcosa che unisce, oggi ancora di più, la comunità scientifica. “C’è un grande fermento dal punto di vista di pubblicazioni di dati. Si vuole dire come stanno le cose, come stanno andando, si vuole aiutare a gestire meglio le cose. Questo è un evento storico a livello mondiale, le attenzioni della medicina e gran parte delle riviste scientifiche sono rivolte a pubblicazioni sul Covid. Anche le società scientifiche che, normalmente, non si occupano di malattie infettive, sono attente a capire com’è la gestione di altre malattie in questo periodo. Perché non bisogna assolutamente dimenticare che ci sono tanti altri malati che continuano ad essere malati e quindi va gestita al meglio la cura delle altre malattie”.