Dallo scorso dicembre Cinzia Luciani, infermiera vastese, lavora nel Reparto Malattie infettive dell’ospedale di Campobasso. “Quando ho avuto il trasferimento da Teramo a Campobasso ho chiesto io questo reparto e sono convita di aver fatto la scelta giusta”. Con i suoi colleghi Cinzia si trova a fronteggiare in prima linea l’emergenza Coronavirus. “Non ci hanno mai fatto mancare i Dpi – racconta – e abbiamo già fatto più volte i tamponi di controllo. La gestione dei pazienti contagiati è su tre reparti. Al piano terra vengono ricoverati i sospetti Covid, in attesa del tampone. I casi positivi vengono poi spostati negli altri due settori Covid”.
La direzione sanitaria molisana ha rivisto la gestione dei turni che “ora sono di 12 ore. Si lavora il giorno, poi la notte successiva e poi si hanno tre giorni a casa”. Il rientro tra le mura domestiche è sempre accompagnato da stati d’animo contrastanti. “C’è sempre un po’ di paura e, da due mesi a questa parte, la nostra vita familiare è stata stravolta. Ormai vivo nella mia stanza, dove dormo da sola. Con mio marito e i miei figli cerchiamo di tenere le distanze di sicurezza, usiamo bagni diversi. Finché non finirà l’emergenza sarà così per noi tutti operatori della sanità. Anche se in ospedale lavoriamo con tutti i dispositivi bisogna fare attenzione”.
Per la famiglia dell’infermiera vastese “non è semplice. I ragazzi hanno sempre la tendenza a venirmi vicino, soprattutto il più piccolo. Ma per il loro bene è meglio così“. E, in più di qualche turno di lavoro, marito e figli sono virtualmente in corsia con Cinzia con i loro nomi scritti sulla tuta protettiva. “Questa esperienza ha sicuramente segnato la mia vita. Alcune cose, purtroppo, mi rimaranno nel cuore e saranno difficili da dimenticare, come il vedere le persone morire da sole, senza i propri affetti vicini. O stare accanto alle persone che stanno male e si aggrappano disperatamente ai tuoi occhi, l’unica cosa che vedono, in cerca di una speranza. Ho però visto anche tante persone guarire ed essere dimesse ed è stata una gran bella emozione“.
Il lavoro di questo periodo “ha rafforzato l’amore che ho per questa professione e sono felice della scelta fatta. Mi rendo conto che non avrei potuto fare altro nella vita”.
E oggi, alla vigilia della fase 2, la voce di chi, quotidianamente, è a contatto con il Covid-19, suona da monito per tutti i cittadini. “Forse non si riesce a comprendere pienamente la situazione, le persone non sanno cosa vuol dire vivere questa esperienza da paziente. Per questo dico che ci vuole responsabilità da parte di tutti”.