Usura tentata, tentata estorsione, spaccio di stupefacenti. Sono i reati contestati, a vario titolo, ai 18 indagati dell’operazione Repulisti, fatta scattare stamani dalla Questura di Chieti e dal Commissariato di Vasto.
Sessanta i poliziotti impegnati dei blitz di stamani a Vasto, San Salvo e Gissi. I particolari dell’operazione sono stati illustrati nella conferenza stampa del questore di Chieti, Ruggiero Borzacchiello, del procuratore di Vasto, Giampiero Di Florio, e del vice questore aggiunto Fabio Capaldo, dirigente del Commissariato di Vasto, e la vice questora Miriam D’Anastasio, dirigente della squadra mobile di Chieti.
Otto le persone sottoposte a misure cautelari personali: C.F., 37 anni, P.D., 47, D.P.S., 48, D.D.G., 42, B.V., 33, M.D., 46, D.O.E., 37, V.M., 32, B.E., 43.
L’indagine “nella mattinata odiena – spiegano gli inquirenti – si è arricchita nella sua fase esecutiva, all’esito dei gravi indizi di colpevolezza raccolti dagli investigatori del questore Borzacchiello; nella sussistenza delle esigenze cautelari ravvisate dal procuratore Di Florio, condivise e riportate nell’ordinanza emessa dal gip del Tribunale di Vasto, Fabrizio Pasquale”.
“La complessa indagine trae origine dalla denuncia-querela sporta dalle parti offese nell’estate 2019 e dagli stessi integrata a più riprese, con la narrazione di eventi che li ha visti vittime di usura, estorsione aggravata e sequestro di persona”. “Alcuuni anni prima – racconta Capaldo – una delle vittime, a causa del forte stress dovuto alla perdita del lavoro, cominciava a fare uso di cocaina, acquistando tale sostanza nel corso del tempo da diversi spacciatori ed, in particolare, inizialmente da B.V., oggi sottoposto agli arresti domicliari presso la propria abitazione”. La vittima subiva “un vero e proprio pestaggio” ed era costretta, secondo gli investigatori, “alla firma di documenti in bianco, attraverso i quali veniva alla stessa intestata una ditta individuale per il commercio di autoveicoli, prodromica al rilascio di targa di prova”. Per acquistare lo stupefacente, “nonché per affrontare le spese del vivere quotidiano, la vittima contraeva a più riprese debiti con altri soggetti poco affidabili ed era costretta a restituire loro somme di denaro con elevatissimi interessi usurari. Sottoposto a frequenti minacce gravi ed a pestaggi dagli usurai, nella primavera del 2014, a scopo intimidatorio, fu addirittura tenuto in sequestro un paio d’ore all’interno di un furgone nella campagna vastese ed immobilizzato con catene e fascette. In quel frangente uno dei sequestratori dapprima gli stringeva la lingua con una tenaglia, poi gli infilava in bocca una pistola, minacciando di sparargli. Le ripetute minacce e le violenze subite determinavano nella vittima uno stato di prostrazione tale da indurlo, nel corso del tempo, per ben tre volte a tentare il suicidio”, si legge nella nota diramata da Questura e Commissariato. “Nell’estate del 2018, causa la particolare situazione debitoria, si rivolgeva a C.F., di etnia rom, dal quale otteneva un prestito di 20mila euro. Questi, in tempi diversi e fino all’ottobre 2019, in concorso con P.D., approfittando dello stato di bisogno e delle difficoltà economiche della vittima, a fronte del prestito erogato, a più riprese estorcevano alla vittima in più rate la somma complessiva di 88700 euro in contanti, oltre ad uno scooter di sua proprietà. Basti pensare che il tasso di interesse usurario raggiunto era pari al 25% su base mensile e al 300% su base annua”. Sequestrata, inoltre, “in almeno tre occasioni, la compagna della vittima, poi rilasciata dopo alcune ore”. Le minacce sarebbero state rivolte anche “all’incolumità della vittima e dei suoi familiari, accedendo all’abitazione dei genitori di lui ed il loro presenza, dopo aver colpito con un pugno al volto la vittima, gli mostravano una pistola minacciando di far fuoco qualora non avessero consegnato 3000 euro. Terrorizzati, i genitori il giorno seguente consegnavano la somma” non solo in quella circostanza, “dando fondo all’intera indennità di fine rapporto della madre, pari a 69mila euro, nonché ricorrendo a prestiti da altri familiari, ignari dell’attività delittuosa a monte delle richieste”. Gli indagati “con altre violenze e minacce tentavano di estorcere dall’uomo ulteriori 20mila euro”. Altre persone coinvolte nell’inchiesta, “fungendo da mediatori nelle pretese creditorie usurarie, proponevano rateizzazioni pretendendo per sé denaro dalla vittima per la loro opera. In tal modo, le pretese di questi ultimi si sommavano alle originarie esorsioni”.
Le indagini – “Sono stati acquisiti documenti bancari e fogli manoscritti a riscontro dei movimenti di denaro” e “il contenuto delle dichiarazioni rese dalla parte offesa è stato ampiamente riscontrato dall’attivazione di servizi di osservazione, controllo e pedinamento, i quali hanno consentito di cristallizzare alcuni degli incontri avvenuti tra la vittima e gli indagati”. “Le informazioni assunte dalle persone informate sui fatti – affermano gli inquirenti – sono gravi, precise e concordanti” e “il contenuto delle propalazioni rese dagli indagati e captate si connota per l’assenza di ambiguità”.
“Lo stato di bisogno della parte offesa appare in tutta evidenza nella sola misura degli interessi corrisposti, di entità tale da far ragionevolmente presumere che soltanto una persona in uno stato come il suo poteva contrarre debiti a condizioni tanto inique ed onerose, anche in ragione del fatto di non poter accedere ai canali istituzionali di erogazione del credito, se non per il tramite dei genitori, costretti per aiutare il figlio a prosciugare le loro pensioni e la liquidazione frutto di una vita di lavoro, avendo essi dilapidato l’enorme somma di 90000 euro, a fronte di un prestito di 20000”.