Meno tasse, rimodulazione dell’offerta, cambio di abitudini consolidate dettato dalla pandemia da coronavirus. Aspettando di conoscere le date per la riapertura delle proprie attività, i ristoratori della Costa dei Trabocchi pensano a come affrontare una delle stagioni turistiche più dure di sempre. Entro questo fine settimana, il premier Conte dovrebbe svelare le caratteristiche del piano per la cosiddetta “Fase 2”. L’attesa è quindi per sapere se, come e quando le attività ristorative potranno riaprire nella consapevolezza della necessità delle limitazioni per tutelare la salute.
I TRABOCCHI – Con le norme di distanziamento sociale le antiche macchine da pesca (già al centro della vicenda della legge regionale dell’anno scorso inizialmente impugnata dal Governo) che danno il nome al litorale della provincia di Chieti rischiano di pagare il prezzo più alto: convertiti in ristoranti intimi, un’ulteriore riduzione dei posti a sedere potrebbe non rendere conveniente riaprire dando vita a una paradossale “costa dei trabocchi senza trabocchi” (o, quantomeno chiusi).
[ant_dx]Luca Conti, titolare del trabocco “Cungarelle” di località Casarza a Vasto, conferma: “Per noi la problematica è ancora più marcata rispetto alle categorie tradizionali, la struttura è molto particolare e richiede continui investimenti e manutenzione. Considerare e calcolare un tipo di attività di piccola ristorazione così come lo era prima con le norme previste sarà un problema serio”.
Diventa così primario reinventarsi e pensare a nuove forme di somministrazione: “Avremmo dovuto riaprire, come ogni anno, il venerdì santo. Normalmente abbiamo 30 coperti a servizio, con le nuove norme scenderemmo a 8-10: con questi numeri, anche per strutture simili alla nostra, non sarebbe utile riaprire. Per questo pensiamo a un eventuale asporto sulla spiaggia o su un piccolo terreno in concessione in modo da salvare in parte la stagione. Avevamo in programma di inventarci qualcosa per quell’area l’anno prossimo, ora anticiperemo se ci daranno l’opportunità di usarla. Rimarremmo con lo stesso numero di coperti tra la struttura e il terreno. L’attività andrà un bel po’ ripensata e dovremo differenziare tra chi è ospite in struttura e chi sulla terra ferma studiando soluzioni anche con lo chef. Insomma, la buona volontà c’è, ma bisogna vedere se può essere messa in pratica con la normativa in preparazione. I tempi stringono, ma la Regione ci ha assicurato che la prima cosa che faranno a livello turistico sarà incentivare la riapertura degli stabilimenti e dei trabocchi”.
I RISTORANTI – “Una soluzione è sfruttare il suolo pubblico grazie ad accordi con i Comuni sulla relativa tassazione. Avremmo più tavoli all’esterno dove c’è meno rischio di contagio”, a parlare è Filippo De Sanctis, titolare dei ristoranti “Essenza” e “SottoSale” a San Vito Marina.
La prima settimana di marzo, pre-lockdown, è stata una prova generale con tavoli distanziati e distribuzione di gel disinfettante: “Con il distanziamento abbiamo accusato un -35% di presenze. La nostra stima sull’intero anno supera il 50% di perdita di incassi. Rimodulare un business intorno a nuove distanze non è semplice e per molti potrebbe mancare la convenienza a riaprire”.
A cascata, poi, le difficoltà si ripercuoterebbero sull’esercito di lavoratori stagionali del settore: “Oggi abbiamo i dipendenti in cassa integrazione, difficilmente potremo confermare i livelli occupazionali precedenti (circa 20 unità nei periodi di maggior afflusso). Come sempre bisognerà pagare affitti, utenze, stipendi, fornitori: garantire tutte queste cose con ingressi scaglionati e meno coperti sarà complicato. Inoltre, ci sarà da considerare il timore delle persone a frequentare luoghi affollati. Per tutti questi motivi sarebbe opportuna una moratoria sui vari tributi e una tariffa agevolata per l’uso del suolo pubblico”.
Per De Sanctis però non è tutto nero e il ristoratore intravede opportunità di cambiamento: “Se a maggio non si riaprirà, partiremo con il delivery. Una volta tornati operativi, probabilmente sarà necessario filtrare la clientela misurando la temperatura, tutto purché si riparta. Potrebbe essere l’occasione per cambiare abitudini consolidate, ad esempio passare a uno o due turni di servizio: due orari di cena, 19.30 e 21.30, in modo da ottimizzare il numero ridotto di coperti, ma questo prevede un cambiamento culturale da parte della clientela. Inoltre potremmo pensare di passare a meno clienti, ma con una qualità superiore di prodotti e di servizio e ripensare da capo i nostri business riparametrando tutto”.
Nella parte più a sud della costa, San Salvo Marina, c’è “Al Metrò”, ristorante che vanta una stella Michelin. “Non c’è solo preoccupazione, ma anche la consapevolezza di ripartire in qualsiasi modo – dice lo chef Nicola Fossaceca – Dovranno cambiare le abitudini: a marzo sembrava una scortesia non ricambiare la stretta di mano, in estate probabilmente non sarà ritenuta invadente la misurazione della temperatura all’ingresso“.
Anche per “Al Metrò” la settimana prima della chiusura è stata una prova di quelle che probabilmente saranno le nuovo norme da rispettare: “C’era un po’ d’ansia, ma nel ristorante i posti a sedere erano già distanziati per una nostra scelta. Durante la settimana di Pasqua abbiamo iniziato con la consegna a domicilio concentrandola nei fine settimana”.
“Già venivamo da una crisi economica lunga anni e dall’assenza di un’identità ben precisa del territorio – conclude lo chef stellato – Con questa emergenza, tutto quello che viene sarà una manna dal cielo. Un aiuto sulle tasse sarebbe una boccata d’ossigeno perché la situazione era pesante già prima, oggi ancora di più. Sarà necessario un riadattamento non indifferente: formule, prezzi, ottimizzare tutto. Ci limiteremo negli spazi ancora di più se ce ne sarà bisogno, ma c’è tutta la volontà di ripartire nelle condizioni migliori adattandosi a tutto perché abbiamo necessità di fare qualcosa”.