ANDREA BENEDETTI, VASTO
Il futuro dopo il lockdown
Oggi è 11 aprile, è passato poco più di un mese da quando è stato firmato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ha attuato le misure più restrittive per il contenimento del contagio da Covid-19, quello che limita la libera circolazione delle persone, che sospende un diritto sancito nell’articolo 16 della Costituzione repubblicana. Mai ci saremmo aspettati, in questo 2020, di veder messa in campo una tale misura, allo stesso modo in cui era per noi, fino a qualche mese fa, imprevedibile ciò che sarebbe successo.
Siamo alle porte di Pasqua, una festività che, per la prima volta, festeggeremo, chi laicamente, chi con profondo credo religioso, in maniera non convenzionale: senza riabbracciare le nostre famiglie, gli amici più stretti, le persone care. Ciò che ci sembrava un dato di fatto, una condizione così consolidata da ritenerla immutabile, come il pranzo di Pasqua o l’uscita all’aperto del lunedì successivo si è improvvisamente sgretolato davanti ai nostri occhi.
Tutto questo, certo, può portarci a profonde incertezze, che rischiano di prolungarsi per molto tempo, anche dopo la fine di questa dura emergenza sanitaria, dovute a condizioni psicologiche, economiche, sociali. Potrà sembrare impossibile, e sarà difficile, riprendere le nostre abitudini, ridurre nuovamente il nostro campo visivo da un ambito complessivo, internazionale, che coinvolge tutta la comunità, alla nostra solita cerchia di interessi personali, in gran parte individualistici.
Ma questa non è l’unica strada. Domani, quando tutto questo sarà finito, forti della nostra esperienza, di una maggiore contezza del valore delle nostre azioni, potremo aver compreso, guardando al grande risultato che, ne sono certo, avremo raggiunto, quanto è inarrestabile la forza della coesione e della cooperazione tra gli individui. Ho fiducia nella nostra capacità di unirci, ancora di più, ancora più consapevolmente, dopo un momento di grande difficoltà, per un ulteriore sforzo collettivo, questa volta prolungato, volto a migliorare le nostre vite. Ne sono certo, sapremo organizzarci, sapremo definire i nostri obiettivi, ognuno aiuterà l’altro secondo le proprie capacità e possibilità, ed a sua volta verrà aiutato.
Questa sarà la forza di una nuova società, più civile, più determinata, più coesa, che non resterà mai più a guardare di fronte alle ingiustizie, di fronte ai problemi e alle difficoltà, ma porrà in essere le iniziative comuni più adatte a permettere ad ognuno di vivere la propria esistenza in modo degno, di scegliere di vivere nella città o nel Paese che preferisce, di trovare grande gratificazione nel sentire di aver contribuito allo sviluppo del proprio territorio, assieme agli altri, e di veder riconosciuto questo merito attraverso la giusta remunerazione economica e sociale.
La comunità vastese ha dimostrato, in questo mese, di essere dotata di un immenso spirito di solidarietà e di una grande tenacia nell’agire e nel colpire i problemi alla radice, a partire dai volontari che si sono prodigati per fornire viveri a chi non può procurarseli autonomamente, per finire nel grande impegno e nella lungimiranza dei cittadini e delle attività commerciali, che hanno deciso di investire in umanità, chi donando dispositivi ed attrezzature mediche all’Ospedale civile di Vasto, chi donando pasti a chi non poteva permetterseli, chi semplicemente chiudendo un bar o una caffetteria quando non ancora ve ne era l’obbligo, per preservare la salute pubblica.
Tutte queste azioni virtuose sono state il più grande esempio di quello che la nostra comunità può fare e potrà fare se rimarrà un sentimento di impegno collettivo, in futuro. Gli obiettivi che si possono raggiungere sono i più disparati ed ambiziosi, e sono tutti ascrivibili, in qualche modo, alle responsabilità che ha l’individuo nei confronti del resto della società (quindi anche di se stesso). L’articolo 4 della Carta costituzionale recita “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”, ed è proprio questo impegno che, il futuro che sogniamo, dovrebbe incarnare.
Altrimenti, c’è sempre la vecchia strada, già battuta, vero, ma piena di insidie dalle quali si viene inevitabilmente colpiti e feriti. Dovessimo scegliere singolarmente, imboccheremmo sicuramente quella, già pronta, ma insieme possiamo tracciarne una diversa, una in cui la smetteremo, finalmente, di competere l’uno contro l’altro per avere la meglio, in cui puntare il dito sarà solo un gesto indicativo utile a scegliere, in maniera costruttiva, il prossimo passo da compiere assieme. Guardiamoci attorno, in questi giorni la nostra popolazione ha avuto un forte bisogno di D.P.I., di aiuto in vari ambiti, di sforzi eccezionali, e tutti ci siamo spesi, in qualche modo, per dare una mano, anche semplicemente rinunciando ai nostri abituali spostamenti.
Ora guardiamo avanti, di cosa avremo bisogno nel futuro, e come possiamo impegnarci per ottenerlo?
ELISA GABALDI, CUPELLO
L’orologio del mio tempo
Un orologio secolare, fissa, scruta, con inesorabile clamore.
Un fuoco ardente. Un camino. Una famiglia attorno che cinge la fiamma. La monotonia delle voci dei bambini è spenta. Le piccole guizzanti scintille emesse dai legnetti bulicano mentre i bambini soffiano sul fuoco. Pareti e superfici spoglie. La miseria incombe. Tutto tace. Si attende che la gelida neve si sciolga. Che la peste sorvoli quel tetto. Che l’epidemia attraversi, inesorabile, quel tempo, quel luogo. E la malattia pian piano si spegne con quel fuoco ardente. Ed i bambini soffiano festosi le loro parole al vento, all’aria librandosi festosi. È festa. È vita.
Un orologio secolare, fissa, scruta, con inesorabile clamore.
Un fuoco sulla riva. Ragazzi e ragazze che ciondolano e scorazzano. Si abbracciano. Danze, musiche avvolgenti, inebrianti. E soffiano. La fiamma del fuoco che illumina il vellutato mare. Un botto. Uno scoppio. Clangore di fuochi d’artificio. È festa. È vita.
Un orologio secolare, fissa, scruta, con inesorabile clamore.
Un contadino che raduna la stopposa e rinsecchita erbaccia. E vi da fuoco. E soffia. E fiamme si ergono, avvolgenti come un latrare di cani. Crepitio e scoppiettio evanescenti. La campagna si illumina come perle incandescenti al buio. È festa. È vita.
Un orologio secolare, fissa, scruta, con inesorabile clamore.
Ragazzi che schiamazzano in una discoteca. È festa. C’è una ricorrenza. Frastuono, rimbombi. Balli da schianto. Voci ingarbugliate come uno scampanellio. Ed ecco. In mezzo allo strepitio: la torta! Ed il ragazzo si accosta: soffia e spegne con un sol soffio d’aria, le fulgide fiamme delle candeline. È festa. È vita!
Un orologio secolare, fissa, scruta, con inesorabile clamore.
Una casa. Superfici invase da pc, telefoni. Pareti adorne da tv. Tanto parlare. Silenzio per le strade. Il coronavirus annusa chi esce. Non è dato festeggiare. Non ci si può stringere. Ed io che annuso l’eco ed i ‘soffi’ delle feste secolari, di ogni tempo.
Un orologio secolare mi fissa, mi scruta, con inesorabile clamore.
È l’orologio del mio tempo. Preparo il banchetto del mio tempo. Preparo le fiammelle della mia torta. È il 3 agosto; il mio compleanno. La mia vita. Sulla quale, ancora, seppur chiusa qui dentro, solo a me è dato soffiarvici sopra. Soffio sulle candeline! E il mio respiro, come un fruscio, ridesta l’eco di quei bambini che soffiano le loro parole al vento, all’aria, librandosi festosi… e la malattia pian piano si spegne con quel soffio. E restituisco fiamma alla vita e vita alla fiamma. È festa. È vita.
P.S.: dedicato a tutti coloro che, in questo periodo, vivono il proprio compleanno “SOFFIANO SULLE CANDELINE DEL PROPRIO TEMPO… DELLA PROPRIA VITA”.
JPP, FUTSAL VASTO
La Pasquarantena del Futsal Vasto
È ancora Brettone, Mileno dal letto con un Grosso mal di testa proprio sui Ritucci dei capelli e un fastidio per un Peluzzo nel naso. Il vicino rumoreggia di già coi Trapani e faccio volare tutti i DiSanto del calendario compresi i miei protettori Santovito e Santavicca. Mi avvio in cucina per bere una Coppola di latte fresco, me lo Borgia mia figlia proprio un Notarangelo! Mi affaccio al balcone e vedo in campagna un feroce Cagnazzo che abbaia e una verde Laganella nel prato. Un bianco Colombaro vola in cielo, Della Morte sicura di un maestoso Aquilano. Penso di uscire e ancora Turdò per la nottataccia infilo nel piede Stivaletta stringo i Laccetti e Masciulli Masciulli arrivo in viale D’Annunzio. Sono all’edicola, occhiata ai DiFoglio dei giornali, notizia: Tarantini, violando la zona Rossi, stanno tornando al sud per la festa del Salvatore. Crugnale! Poco altro Di Bello e interessante da leggere. Altro step. Supermercato: Farina, Cipollone, sale Marino e Asad di pomodoro per un pranzo frugale, la Moretti fresca è già nel frigo. Ma prima una Radoccia veloce. Pomeriggio intero in chat con Gabriele e settimana enigmistica con Della Penna. Fra un Di Ghionno conferenza live di Conte che Terpolilli Terpolilli annuncia Bozzelli e sacrifici: Menna…to un dubbio, l’Italia Maranca! Ciccotosto sono le 23, ho Caputo il letto richiama.
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