Partire per le zone rosse. Da volontario. Per dare una mano ai medici stremati dalla lotta contro il virus che si propaga. È la scelta di Fabrizio Cristiano, 38 anni, nefrologo all’ospedale San Pio da Pietrelcina di Vasto. Quando il Governo ha emanato il bando, Fabrizio ha detto a se stesso, alla sua famiglia e ai colleghi che per lui era arrivato il momento di andare ad aiutare i colleghi impegnati a curare i dializzati che hanno contratto il Covid-19. E per capire come intervenire, se dovesse succedere anche a Vasto. “Qui ci sono tanti pazienti, giovani e anziani. La vita di queste persone è cambiata da quando hanno cominciato a combattere questo nemico oscuro”, racconta a Zonalocale.
Fabrizio, sei ad Ancona da una settimana. Quale situazione hai trovato nelle Marche?
“Nel nord delle Marche la situazione è critica, ma negli ultimi giorni sta migliorando, perché i pazienti vengono trattati nel modo giusto e il contenimento inizia a dare risultati. Inoltre, è scattata anche la solidarietà: a Pesaro e a Urbino sono arrivati medici dall’Ucraina e a Jesi è stato allestito un ospedale da campo della Marina militare arrivato via mare.
Sono in servizio in un reparto di Nefrologia Covid che ospita pazienti con insufficienza renale acuta o cronica risultati positivi al virus”.
Cosa ti ha spinto a prendere la decisione di partire per andare da volontario in prima linea?
“Al bando emanato dal Governo hanno risposto circa 8mila medici, quindi è stata avviata una selezione, perché sono necessari anestesisti, internisti e nefrologi. Se sono partito, è merito anche di Lucia Perilli (direttrice del reparto di Nefrologia dell’ospedale di Vasto, n.d.r.), che mi ha incoraggiato e aiutato a sopperire alla mia assenza a Vasto. Sono stato mosso da un sentimento verso le strutture in sofferenza. Questa è la prima di tre settimane di lavoro all’ospedale Torrette. Sono partito il 3 aprile da Vasto per Roma, dove siamo stati tutti sottoposti a tampone e poi assegnati alle strutture ospedaliere in cui c’è necessità di medici. Io e altri 10 colleghi siamo stati destinati agli ospedali delle Marche. Il mio ultimo giorno di lavoro ad Ancona sarà il 21 aprile, poi rientrerò in Abruzzo. Queste, per me, sono tre settimane importanti: sto dando, ma anche ricevendo, perché siamo di fronte a una patologia sconosciuta per la quale non c’è una letteratura scientifica con linee guida ben precise. Quando dico che non sto solo dando, ma anche ricevendo, mi riferisco al fatto che è importante sapere come sono stati trattati qui i pazienti, così da poter essere in grado di affrontare , al rientro a Vasto eventuali situazioni analoghe. Qui ad Ancona, questo male sconosciuto viene affrontato attraverso un continuo confrontarsi tra i vari specialisti in un vero e proprio lavoro di équipe”.
Nello svolgere il tuo lavoro all’ospedale di Vasto durante questa emergenza, ma soprattutto in questi giorni di servizio in un reparto molto delicato, hai avuto momenti di paura?
“No, non ho mai avuto paura. Paura puoi averne se non hai le armi per combattere ma, se uno viene protetto, non ha paura. L’azienda ospedaliera universitaria Ospedali riuniti di Ancona ci ha messo a disposizione tutto il necessario. Abbiamo tutto e siamo protetti. Ma già ero tranquillo a Vasto, dove è scattata anche la solidarietà: i cittadini e l’amministrazione comunale si sono adoperati per aiutarci. Ci sono stati vicini, i vastesi sono un popolo generoso“.
Cosa ti resterà di questa esperienza così complicata?
“Alla fine di questi venti giorni, avrò ricevuto tanto dal punto di vista professionale, ma sto crescendo tanto anche sotto l’aspetto umano. Qui ci sono molti pazienti, giovani e anziani. La vita di queste persone è cambiata da quando hanno cominciato a combattere questo nemico oscuro. Ma a tutti dico: stiamo reagendo bene”.