Nessuno si illuda. Continuare a lavorare non vuol dire essere immuni dalla crisi economica che va a braccetto con l’emergenza sanitaria. Ai tempi del coronavirus le attività essenziali proseguono, ma ci sono settori in piena sofferenza. Le preoccupazioni vengono oggi dal mondo agricolo, che non si ferma perché la filiera alimentare deve rimanere aperta. Con gli agricoltori che tirano a campare: investono somme per seminare e coltivare, spesso i soldi necessari li prendono in prestito dalle banche. Stavolta senza sapere se potranno restituirli.
“Per un agricoltore della nostra zona, la spesa media annuale è di 30mila euro”, fa i conti Michele Bosco, che a Vasto ha un’azienda agricola a gestione familiare. “Poi dipende dalle annate. Lo scorso anno, con la grandine” del 10 luglio, chicchi grandi come palline da golf che hanno devastato le campagne, “non abbiamo neanche recuperato le spese”, racconta Bosco, che è presidente dell’associazione Terre di Punta Aderci, un comitato costituito da imprenditori agricoli e automobilisti stanchi di subire i danni causati dai cinghiali. Ora le devastazioni degli ungulati incidono ancor di più sulle coltivazioni e sul futuro raccolto: “La situazione peggiorata. Non essendoci movimento né traffico, i cinghiali spadroneggiano, visto che è stato bloccato anche il selecontrollo e questo porterà delle conseguenze non indifferenti”. Foto e video che Zonalocale pubblica sono state scattate tra ieri e oggi. Si vedono cinghiali nei terreni agricoli e in città, al quartiere San Paolo, il più popoloso di Vasto, nell’area verde retrostante la chiesa di San Paolo Apostolo.
Tutto questo mentre il lavoro è un’incognita: “Stiamo piantando e costruendo strutture, di conseguenza stiamo facendo debiti con le banche. A fine anno ci ritroveremo esposti in maniera paurosa sotto l’aspetto finanziario. La situazione sul campo va peggiorando, al momento non ci sono indicazioni di speranza, a dispetto di quello che continuiamo a fare, permettetemi di dire ‘stupidamente’, per mandare avanti un settore che è stato svenduto per vent’anni a causa degli accordi commerciali. Ormai sono pochissimi i piccoli produttori che vanno a vendere al mercato e incentivata la produzione di massa attraverso le grandi cooperative. Il risultato? Si è focalizzata l’attenzione su alcune produzioni trascurando nella nostra zona gli ortaggi e gli allevamenti. Oggi che il mondo è chiuso, si fanno i conti con le eccedenze, a cominciare dal vino, cui ci si è dedicati per vent’anni, ma in questo momento c’è solo un commercio locale, non quello internazionale a cui era destinata la grande produzione”.
Scetticismo sul bonus del Governo: “Credo – dice Bosco – che alle imprese agricole toccheranno i 600 euro, ma è una cifra ridicola. Se oggi possiamo ancora andare avanti sperando di recuperare le spese, ci preoccupa quello che succederà in futuro. Sei costretto a investire per mandare avanti le aziende e non sai cosa succederà tra un anno, se ci sarà una ripresa oppure no. Intanto, la politica ha altro a cui pensare. Deve finire il gioco delle parti, è ora che Governo, Regioni e Comuni si siedano attorno a un tavolo senza guardare ai colori politici e comincino a dare soluzioni. Lo Stato deve incentivare le a finanziare a tasso zero per tutelare la produzione”. Intanto i discorsi sulla qualità dei prodotti locali e sul chilometro zero sembrano diventati parole al vento: “Purtroppo la persona che va a fare la spesa andrà a comprare un prodotto che costa meno di quello italiano. Da anni non possiamo, ad esempio, coltivare i pomodori, perché l’Abruzzo soffre la concorrenza straniera e di altri territori in cui si produce a costo molto inferiore, spesso sfruttando la manodopera attraverso il capolarato. Più il popolo si impoverisce, più si aggrava questa situazione”.