“Uno scatto rubato in un momento di pausa tanto atteso, paragonabile a quando suonava la campanella per la ricreazione ai tempi del liceo. Sono giorni molto intensi in terapia intensiva. Da un giorno all’altro, ci siamo trasformati in Centro Covid+, poiché si registrano sempre più infetti critici che necessitano di ventilazione meccanica. Questo significa che non tutti stanno seguendo le varie indicazioni dettate dal Governo“.
Andrea Ulisse è un vastese che lavora come infermiere di terapia intensiva e rianimazione all’istituto clinico Sant’Ambrogio di Milano, ospedale del gruppo San Donato. Con una foto, emblematica nella sua espressione, Andrea ha voluto lanciare un messaggio che esprime il pensiero delle tante persone che, ogni giorno, sono in prima linea per fronteggiare la pandemia. “Ho dato anche la mia disponibilità ad altre terapie intensive negli altri ospedali di Milano nei giorni liberi che ho – ci dice quando riusciamo a metterci in contatto -. Cerco di fare il possibile, tutti stiamo facendo il possibile”.
La sua è una testimonianza diretta ed emblematica della situazione. “Purtroppo questo virus è fortemente contagioso. Sta infettando e purtroppo continuerà a farlo. Forse non è ancora chiaro a tutti. Lo scopo di rimanere a casa è quello di cercare di distribuire il più possibile nel tempo i nuovi infetti, evitando di oltrepassare la soglia limite di disponibilità di risorse del SSN e permettendo l’assistenza e le cure a tutti, senza alcuna distinzione. Per ora, dopo la prevenzione, è questa l’arma che abbiamo per fronteggiare il virus.
Se solo potessi, vorrei far fare un giro tra le postazioni in terapia intensiva a qualche scettico che ancora oggi non ha capito la gravità della situazione, solo per far vedere che alcuni dei pazienti che abbiamo sono persone normali, sportivi, senza patologie associate, purtroppo giovani ma che, in qualche modo, hanno contratto il virus e la loro funzionalità respiratoria è altamente compromessa.
[ads_dx]Per noi che siamo sempre in prima linea è una situazione sicuramente pesante e logorante, fisicamente e mentalmente, diversa dalla quotidianità. Non è nostra abitudine lavorare coperti minuziosamente con tute da marziano, una visiera e una maschera filtrante che lasciano i segni sul viso per ore, se non giorni. Le attenzioni triplicano, proprio come le ansie e le paure di fare qualcosa di sbagliato. Vestizione e svestizione ormai sono diventate il nostro unico pensiero mentre ci spostiamo verso il lavoro, siamo lì in macchina che ripetiamo la sequenza come fosse una filastrocca.
Chiamo un collega da lontano, ma mi accorgo di non riconoscerlo con quell’armatura addosso, si vedono a malapena due occhi, una risata tra noi per sdrammatizzare.
A fine turno, abbiamo un calo di adrenalina pazzesco. Mal di testa e i segni causati da quei dispositivi che sono però necessari per proteggerci. E poi finalmente una doccia calda prima di rientrare a casa, per evitare di portarci dietro qualche ospite indesiderato. È difficile anche per quelli che ci sono attorno, anzi, con il pensiero. Mia madre è convinta che sono in guerra. Ad ogni chiamata come un mantra mi ripete occhi aperti, precauzione! Sdrammatizzo di continuo cercandogli di trasmettere serenità ma la sento preoccupata, siamo ovviamente una delle categorie più a rischio. Ormai è diventata più esperta e più aggiornata di me sul Covid, mi fa lezioni online ogni giorno e io qui, a 650 km di distanza, che prendo appunti.
È dura, ma amo il mio lavoro. È una sensazione bellissima veder migliorare la saturazione e gli scambi gassosi di un paziente Covid+ dopo averlo pronato. Sotto quelle tute grondiamo dal sudore per esserci riusciti, ma è una sensazione unica. E questa è solo una delle tante cose che mi rendono soddisfatto e fiero mentre rientro a casa. Nel nostro piccolo, ci accontentiamo di questi risultati per uscire dal lavoro felici. Siamo un team eccezionale, sempre uniti, ora più che mai, una squadra fortissima. Alti e bassi a livello morale. Alcuni colleghi hanno preso molto male questa situazione che stiamo vivendo giornalmente, altri sono un po’ più nervosi del solito, altri cercano di mascherare il più possibile l’ansia e la preoccupazione. Tutto comprensibile. Una molteplicità di caratteri forti che soprattutto in questi momenti vanno amalgamati per bene.
Alla fine di ogni battaglia (a volte chiamo così la fine di un turno), ci godiamo una mezza naturale fresca come se fosse un boccale di birra nel mese di luglio. Piccole soddisfazioni, ma piacevoli. Sono convinto che ce la faremo a superare questo momento duro per noi, per voi e per il SSN, ma abbiamo bisogno di collaborazione. Io oggi, domani e in futuro sono e sarò qui a lavoro, in prima linea, ma voi… restate a casa“.
A cura di Giuseppe Ritucci