PINO, VASTO
Noi siamo fortunati
Mia mamma, classe 1931. Stamane l’ho chiamata. Abbiamo deciso di evitare di andarla a trovare: lo farà uno dei fratelli, per la precisione mia sorella, che provvede alle sue necessità. Si è chiusa in casa. “Non esco, non ha senso rischiare” mi ha detto.
“Lo sai, oggi voi siete fortunati”. E mi ha spiegato il perché, con pochissime e lucide parole. La saggezza delle mamme, fortunato io che ce l’ho. E mi ha raccontato i tempi della guerra a Vasto. C’era il coprifuoco. Luci spente per strada, le imposte chiuse delle case. Non c’era la televisione, non tutti avevano la radio. Le uniche armi per far trascorrere le ore erano la recita del rosario, raccontare storie, giocare a sorcetto (non ho idea come si giochi) per avere come premio ceci o fave abbrustoliti.
“Oggi avete la televisione, potete affacciarvi alle finestre o sul balcone, c’è il telefono, avete internet e tante altre cose. Non avete il tempo per annoiarvi o per sentirvi soli. E allora perché non restate a casa? Vogliatevi bene”. La saggezza della mamma.
DORETTA, SAN SALVO
Addò vò jì! Adà finì si Ddì vò’
Temo che la mia sia una “testimonianza” un po’… controcorrente in questi giorni da Coronavirus. Nel senso che – ad eccezione del vociare dei bambini che giocano – in genere amo il silenzio, le strade poco affollate, il traffico scarso, le file ordinate che mi ricordano la Svizzera dove ho vissuto, ma non di certo la disciplina per paura che sgomenta.
Due giorni fa, munita di un “kit di sopravvivenza”: autocertificazione, mascherina e una “gelosa confezione di Amuchina”, ho fatto le due tre cose che faccio sempre quando vado, perché abito in periferia. Sono dunque andata in banca, in farmacia e ho fatto una spesuccia essenziale al supermercato. Ho trovato la trafficatissima via Istonia semideserta, in banca, dove si sgomita sempre un po’, i pochi clienti erano tutti fermi come soldatini sulle apposite strisce distanziatrici, il cassiere era “bardato” come un chirurgo in sala operatoria. Una scena da fotografare, se non fosse stato che avrei creato disagio e magari espulsione.
In un certo senso però ero quasi a… mio agio, se non fosse stato per la consapevolezza del perché di questo inusuale rigore. Nonostante tutto, il silenzio era piacevole e le operazioni alquanto snellite dalla scarsa presenza. L’angoscia invero mi assale molto di più quando alla conferenza stampa quotidiana pomeridiana del capo della Protezione civile Borrelli comincia a far scattare quel inarrestabile contatore della morte e della sofferenza che, ogni giorno, invece che tranquillizzare finisce per buttarci tutti in uno stato di prostrazione.
[ant_dx]In tarda mattinata, nel pieno rispetto del Decreto, vado a fare una solitaria passeggiata terapeutica sulla spiaggia, ma a causa della nostra indole solitaria scegliamo sempre i tratti non turistici. In genere – in questi giorni di divieto – tranne i gabbiani, il vento e qualche raro pescatore con la canna, non c’è nessuno. Eppure il tempo è bello!
Questa mattina ho notato a terra una meravigliosa conchiglia rosa la cui superficie di madreperla brillava al sole. L’ho interpretato come un meraviglioso segno di speranza. Ma sono consapevole che non lontano da questa pace c’è morte, sofferenza, paura, ma anche una dedizione incommensurabile, fino all’eroismo.
Questa del Coronavirus, in questa Italia di cui ci lamentiamo per natura, è un Italia per noi tanto nuova quanto sconosciuta, anche se abbiamo vissuto parte del secolo scorso con una guerra che abbiamo sentito raccontare e altro che abbiamo vissuto di persona.
Neppure i terremoti più devastanti sono paragonabili a questa angoscia sconosciuta, impalpabile e invisibile. Ma la conchiglia rosa era lì, un messaggio divino per dirci che: l’Italia è bellissima, coraggiosa, creativa, eroica, che sappiamo accettare le regole, le sfide, la disciplina quando sono date da Autorità serie e affidabili e per il bene di tutti.
Quanto a noi tutti, detto in lingua madre, suona così: Addò vò jì !. Adà finì si Ddì vò’ .
DAVIDE STIVALETTA, VASTO
Riflessioni
Qui a domandare senza risposte.
Attendere e confidare nel tempo.
Cercare nel niente.
Fermi, circondati da una primavera che muove tutto,
e non sai se sperare che nasca o finisca.
Fermi, ad ascoltare il mondo,
l’inquietudine che tracima.
Il volo di un gabbiano disegna, nell’aria,
la quiete nell’attesa.
Ascoltiamoci, siamo noi il mondo.
Usiamo le nostre voci per dare speranza, tese a rassicurare una nonna e donare un sorriso ad un bimbo.
Potremo avere tutto senza un domani.
Salutiamo ci con un “ciao come stai! “
Rispondiamo “tutto bene”
Sorridiamo al mondo.
Rispettiamo noi stessi e le nostre doti, siano esse a disposizione nel mondo,
allora si avremo ancora una città in cui danzare e cantare.
Il sudore di chi oggi per noi lavora non sarà vano se scorgeremo il fondo oltrepassando le torbide acque dell’ipocrisia.
Allora anche nel dramma cresceremo correggendo gli sbagli.
Abbiamo difronte la vita e la morte,
la benedizione e la maledizione,
scegliamo la vita e il mondo.
ANTONIETTA E GINO, VASTO
La paura c’è, si vede e si sente. E meno male che c’è. La paura dovrebbe portare a rispettare divieti e regole. È il panico che dobbiamo evitare. Mio marito e io, come tutti gli italiani che hanno rispetto per le regole, trascorriamo le giornate stando in casa, qualche volta ci affacciamo al balcone, facciamo scorpacciate di film e leggiamo anche qualche buon libro.
Discutiamo anche e spessissimo pensiamo ai nostri ragazzi ed ai nostri nipotini. I nostri due figli, con le loro rispettive famiglie vivono lontano da noi. Uno a Forlì, l’altro a Bolzano.
Ci angoscia il pensiero che non sappiamo quando potremo rivederli e di conseguenza abbracciare loro, le loro mogli e i nostri cinque nipotini, ma in questi giorni c’è qualcosa che ci angoscia ancora di più… abitiamo in via Ciccarone, proprio di fronte all’obitorio dell’ospedale di Vasto. Defunti, purtroppo, ce ne sono ma nessun parente, nessun amico a dare loro l’ultimo saluto. Solo un freddo carro funebre che si allontana lentamente con il suo carico. Una pena indescrivibile.
Il Covid-19 è anche questo.
MARIA AMATO, VASTO
Al mio posto, con i ragazzi che sono in turno.
Ragazzi, si. Come ognuno di noi si sente in questi momenti, piccoli di fronte a gradi responsabilità, con un grande carico di speranza e di voglia di primavera.
Una calma surreale, il tempo per qualche battuta, il tempo per studiare, rivedere qualche caso, per produrre mascherine fai da te.
È questo strano senso di serenità, quello delle grandi occasioni, un dono, una conquista, il frutto della solidarietà della gente.
E se insieme alla spesa il mio negozio sotto casa di via Santa Maria, Pasquale Ciuffreda mi dà un sacchetto con qualche preziosa mascherina e i guanti per mani grandi come le mie e di qualcuno dei miei collaboratori, tolti alla dotazione per sé e i suoi familiari,
se Massimiliano Melchiorre mi porta i guanti che metteranno al sicuro le nostre mani e il contatto coi pazienti per diversi giorni,
se Filippo De Marco si fa km per venirmi a consegnare un po’ di mascherine super,
se la ditta Torricella di San Salvo consegna dispositivi preziosi,
se Graziano Marcovecchio per Pilkington e Claudio Pepe per Ecofox chiedono un contatto con la direzione generale per poter contribuire alla lotta contro il coronavirus
se… allora c’è speranza, non parlo solo del virus ma di sentirsi comunità in un territorio complesso in un tempo difficile.
E quella che sembra solo una bella frase “ci si salva tutti insieme” è la frase per eccellenza, è la speranza che rende forte la mia solitudine, che da colore e senso a questo tutti a casa così indigesto, che ha la musica cantata dai balconi.
Finirà questo periodo e ci lascerà migliori.
Dovremo per forza essere migliori.
Andrà tutto bene!
MARIANTONIETTA IADEMARCO, SAN SALVO
Saluti ai miei alunni da San Salvo!