Sbobinando le registrazioni dell’intervista con Paolo De giosa la cosa che colpisce di più è il silenzio di sottofondo. Un ambiente ovattato dove non entra molta luce, ma solo quella giusta. Per la prima volta, forse, un artista inizia a raccontare da solo, senza alcuna domanda preliminare – d’altronde Paolo è anche uno scrittore – la sua arte e come nasce. “La mia pittura si basa molto sulla letteratura. Leggo prima queste pagine antiche e poi cerco di estrapolarne un’immagine” dice sfiorando delle vecchie edizioni del Corriere della sera posate sul tavolo “molti di questi vecchi giornali e libri sono di mio padre. Cerco di dargli una nuova vita. Queste pagine diventano una tela per me.” È difficile dire se si capisca di più una persona dal suo caos o da come mette in ordine le cose in una stanza. In ogni caso, Paolo ci rivela di aver risistemato lo studio prima di incontrarci e, infatti, tutto ha una collocazione ben precisa, a tratti scenografica – neanche questo è un dettaglio, Paolo adora il cinema.
Le sue opere hanno uno stile del tutto particolare, una sorta di tardo-rinascimento-contemporaneo e si dividono in due cicli di ricerche diversi: Le pagine e Le assenze. Le pagine raccoglie opere in cui l’artista dipinge e disegna su supporti a cui sono stati applicati degli stralci di giornali e libri antichi:
“Questi sono lavori che partono da una ricerca molto profonda. La realizzazione è solo l’ultimo step del processo”, e continua mostrandoci Ritratto Ovale “ ’Il ritratto ovale’ è un racconto breve di Edgar allan Poe, sono partito da lì. Ho cercato di immaginare come potesse essere la ragazza protagonista della storia: malinconica, vagamente triste”.
Le assenze, invece, rappresentano sempre maggiormente donne, a cui manca però, o viene destrutturata, una parte del viso. “Tutto nasce da un mio turbamento interiore, nel 2013 – ci spiega Paolo – è una trasposizione su tela di quella che io amo definire ‘mancanza’. Ho immaginato come sarebbe potuta essere una figura femminile, però con una mancanza, una destrutturazione. Ci sono dei rarissimi casi in cui ho ritratto anche uomini, uno di questo è Abrahm Lincoln, un uomo con una storia controversa, enigmatica.” Un po’ come tutte le donne di Manet, le donne di Paolo De Giosa ti guardano. Puoi spostarti quanto vuoi. Continuano a fissarti e, in qualche modo, a chiedere di essere guardate. “Sono ragazze diverse – ci dice il pittore – ma hanno quasi sempre l’occhio chiaro, perché ha maggiore profondità. Io inizio sempre dagli occhi quando dipingo e poi viene il resto”.
Quasi per caso, poi, parlando della sua scrittura, Paolo ci mostra la raccolta di poesie scritta da lui nel 2009, “Succederà in un giorno incolore” e, sempre molto per caso, apriamo il libro a questa pagina:
TI HO VISTO
Ti sto cercando.
Ho visto spesso
Il tuo viso.
Ma ti sto cercando.
Ho visto spesso
Il tuo viso.
Più leggo queste sei righe vicine tra loro, più guardando gli occhi delle ragazze dei quadri e percepisco “l’oltre” che lasciano sottintendere. “Mi piacciono i poeti maledetti, anche perché cerco sempre cose inedite. Di Allan Poe ho praticamente tutto, anche saggi sconosciuti ai più. Per i contemporanei preferisco sempre gli italiani – ci racconta mentre leggiamo qualche altra poesia del suo libro – sono appassionato anche di cinema, dai primissimi film, ma non uso Netflix. È commerciale. Seguo i consigli che trovo sui blog dei diversi appassionati. Mai vista nemmeno una serie tv. Mi piace iniziare e finire, anche per i quadri. Per alcuni inizio e finisco, ma solitamente devo prendermi del tempo, anche perché devo preparare le basi. Poi mi sono reso conto che se ci perdo troppo tempo perdo l’ispirazione. Tuttavia, posso stare anche un mese senza dipingere”.
Paolo ci preannuncia una sua mostra personale a Vasto la prossima estate e in chiusura, complimentandoci per il suo studio davvero “artistico” e ben ordinato ci fa notare, indicando specifici dettagli: “Questa era una stalla che poi ho sistemato, lì c’è ancora l’anello dove si attaccava l’asino.”
Foto a cura di Giuseppe Ritucci