Farchie, ‘ndocce, faugni… si rinnovano in questi giorni i riti del fuoco legati al solstizio d’inverno e associati, con l’avvento del Cristianesimo, alla festività del Natale. Iniziati in alcuni casi già la scorsa settimana, oggi si concentrano gli appuntamenti con queste tradizioni: le farchie di Fraine, Schiavi d’Abruzzo, Fara Filiorum Petri, quella singola (la farchia) di Tufillo, i faugni di Atri, il fuoco di San Tommaso di San Salvo, il Fuoco Santo di Dogliola, le ‘ndocce di Castiglione Messer Marino, la ‘ndocciata di Agnone solo per citarne alcuni.
Nomi e varianti locali per tradizioni che hanno origine nella notte dei tempi “quando tutta la vita dell’uomo era legata ai cicli naturali e quando i vari elementi della natura diventavano delle divinità da propiziare attraverso i doni e i riti”, ci spiega il professore e sindaco di Tufillo, Ernano Marcovecchio.
In gran parte dei luoghi citati le farchie prendono la forma di torce verticali – formate da canne – che poggiano su manufatti con tre piedi. “I fuochi – ci dice Marcovecchio – sono collegati sicuramente tra di loro e sono a corredo del solstizio d’inverno, una sorta di auspicio affinché il sole ormai arrivato al minimo della sua irradazione possa ricominciare il ciclo vitale. Qualcuno ci ha voluto vedere anche una sorta di rievocazione delle usanze celtiche e germaniche portate da queste parti da quelle popolazioni, come il culto del grande albero”.
LE VARIANTI LOCALI – A Tufillo, come detto, la farchia è unica, di grandi dimensioni rispetto alle altre del Vastese e non sta in piedi. La preparazione inizia due giorni prima e al posto delle canne si usano tronchi. Nel manufatto è possibile distinguere il “pedale”, la parte finale a tre piedi, e il “palo fermo”, “un tronco dritto, più grande, che sporge rispetto agli altri che serve a incastrare tutto il resto”. Inizialmente, anche a Tufillo le farchie erano numerose, una per quartiere, poi portate davanti alla chiesa principale. Quella in uso oggi, dal peso notevole, viene portata a mano, il 24 dicembre, dai volontari dalla chiesa di San Vito a quella di Santa Giusta lungo le stradine del centro storico: un’impresa non semplice arrivare a mezzanotte in punto quando viene accesa (l’evento lo abbiamo seguito due anni fa, LEGGI. Qui, invece, quelle di Fraine: LEGGI).
“Il concetto – continua Marcovecchio – è lo stesso anche ad Agnone, ma siccome le ‘ndocce (questo il nome locale) venivano da lontano, avevano anche la funzione di illuminare il percorso che dalle campagne portava al centro abitato e sono a ventaglio”. Qui le date sono due: alla tradizionale ricorrenza del 24 dicembre, è stata affiancata quella del giorno dell’Immacolata per ricordare la ‘ndocciata tenutasi l’8 dicembre 1996 a Roma per il 50º anniversario del sacerdozio di Giovanni Paolo II.
A San Salvo il rito del fuoco si lega con la ricorrenza dell’arrivo in città delle reliquie di San Vitale martire (poi diventato santo patrono) nella notte tra il 20 e 21 dicembre del 1745. Il 20 di questo mese, ogni anno, davanti alla chiesa di San Giuseppe (nella piazza dedicata a San Vitale) viene acceso il grande fuoco di San Tommaso.
Ad Atri (Te) le torce prendono il nome di “Faugni” e risalgono al periodo preromano “quando la città era la capitale del Piceno del Sud e le feste di fuochi in onore di Fauno, antica divinità pagana associata alla fertilità della terra, erano organizzate in segno di purificazione e di buon auspicio per l’attività contadina”, si legge sul sito ufficiale della manifestazione. Per tutta la notte tra il 7 e 8 dicembre i faugni ardono rievocando la tradizione.
LA “CRISTIANIZZAZIONE” – Come detto, i riti inizialmente slegati dalla tradizione cattolica hanno assunto anche un altro significato. “Con l’avvento del Cristianesimo – conclude Marcovecchio – c’era stata una forte resistenza ad abbandonare questi riti, per questo hanno iniziato a dar loro un significato che riconducesse alla tradizione cristiana anche se nei testi sacri non ci sono allusioni simili. Si tratta di forme di sincretismo, cioè la convergenza di più fenomeni culturali o religiosi che si compenetrano tra loro”.