È dicembre, una giornata grigia, quando arriviamo al The Botanist per incontrare Marina Bolmini. Lei è già seduta su un divanetto verde all’interno che ci aspetta mentre si prepara una sigaretta. Ci prendiamo tutto il tempo necessario per le presentazioni, ma anche per uscire a prendere un po’ d’aria prima di ordinare. Marina Bolmini è colorata, vivace, originale. La cosa interessante, alla fine della nostra chiacchierata, è vedere quanti argomenti siamo riusciti a toccare nel giro di un’ora. La banana di Cattelan, voyeurismo, l’11 settembre, il punk. Ma andiamo con ordine.
Davanti a una tisana fumante Marina apre il suo zaino di Super Mario e tira fuori alcuni dei suoi lavori. Uno è un delicatissimo ricamo tradizionale che ritrae una mano scheletrica. Sturm und drang puro. Poi arrivano i lavori fatti con la tecnica del punto croce. Deliziosi quadretti colorati che riprendono dei concetti di utilizzo quotidiano e li stravolgono aggiungendo o sostituendo dei piccoli dettagli “Il brandalism è un tipo di azione politica”, ci spiega Marina, “prendi un brand o una pubblicità e la manipoli. È la stessa cosa che accade nel mondo della street art, ma in quel caso è direttamente su muri e manifesti”. La prima cosa che però viene in mente vedendo i lavori di Marina è che dietro c’è una tecnica incredibile, perpetuata da anni “Ho iniziato a ricamare con mia madre quando ero piccolina”, ci spiega sorseggiando la sua tisana e continuando a mostrarci i suoi lavori “Quando sono andata all’Accademia di Belle Arti cercavo un linguaggio che non fosse la pittura e che avesse un carico di significato in più. In quel periodo scoprii Mike Kelley, sul quale in seguito scrissi anche la mia tesi di laurea. Lui non ricamava, ma usava molto stoffa e pupazzi per fare i suoi banner. Tessuti colorati con vari innesti e disegni da appendere al muro.”
Proprio mentre sfoglia delle pagine di Instagram per mostrarci le strabilianti opere di Kelley, le chiediamo del suo rapporto coi social “Ho un ottimo rapporto coi social, soprattutto con Instagram, che mi ha anche permesso di iniziare a vendere gli schemi per realizzare i miei disegni per punto croce su Etsy. A volte mi taggano sui lavori finiti appunto e ho anche modo di vedere come vengono le mie idee realizzate da altre persone. Persone da tutto il mondo”. Tuttavia, per Marina niente è casuale, nemmeno il fatto di fornire alle persone gli strumenti per realizzare i suoi lavori “Questo, ha anche un aspetto molto punk. Infatti ‘Do it yourself’ è uno dei capisaldi della cultura punk. ‘Fattelo da solo’”. Mentre parliamo e guardiamo i suoi lavori nel locale passa una playlist di canzoni natalizie. Dire che il contrasto è nell’aria è un eufemismo. Marina infatti è riuscita a rendere punk un’attività che nell’immaginario collettivo è da nonne. I suoi lavori colpiscono per tecnica e spessore artistico, ma soprattutto per l’idea dietro tutto quello che si vede.
È un po’ su questo tipo di discorso che ci incanaliamo quando arriviamo a parlare della famosa banana di Cattelan, ovvero l’opera più chiacchierata delle scorse settimane, Comedian. Marina ci racconta il vero significato dietro l’opera, il vero motivo per cui, alla fine, è diventata un caso internazionale. Durante la chiacchierata, circondati dalle sue opere, si ha l’impressione di essere in un vortice che potenzialmente potrebbe virare su qualsiasi argomento da un momento all’altro. Così, mentre ci sta spiegando il concetto di voyeurismo dietro la sua serie di ricami pornografici, arriviamo a parlare dell’11 settembre 2001. “Quella serie si chiama Keyhole: buco della serratura. Rende bene l’idea dello sbirciare. È una sorta di voyeurismo al quadrato. Se ci pensi bene però, la pornografia, scevra dal voyeurismo, è pura riproduzione. Quando nel 2010, circa, venne fuori l’Isis con tutte le tragedie e i rispettivi video delle loro esecuzioni che si trascinava dietro capii che oltre al sesso c’era qualcos’altro che attirava l’attenzione delle persone: la morte” e continua: “Io stavo ricamando l’11 settembre. Stavo ricamando la scena di un videogame. Sceglievo solo immagini tratte da giochi violenti in quel periodo. Ad un tratto la radio interruppe la musica e annunciò la notizia dell’attentato a New York”. Da lì a pochi anni di distanza infatti nascerà un ricamo dedicato proprio a quella tragedia. La cosa stupefacente è come Marina riesca a reinventare continuamente la realtà che la circonda. Il suo è uno spirito iconoclasta, ma anche dall’intelligenza fine. La sua non è sterile critica alla società odierna, c’è lo spunto geniale a dare spinta alle sue opere: “Esistono dei grandi classici iconografici per il ricamo: ad esempio, il disegno della casa con scritto ‘home sweet home’”. Qui accanto, la versione della classica casetta secondo Marina Bolmini, con spunti tratti da un brano dei Talking Heads. Le tisane sono ormai finite da un po’, l’ultima domanda prima di andare però è d’obbligo: “Hai una merceria di fiducia dove prendi i tuoi materiali?” “Sì, ho una merceria di fiducia in Piazza Verdi, a Vasto”.
Cosa aggiungere? 100% punk made in Vasto.
Gli incontri con gli artisti:
Davide Scutece – LEGGI
Sara Quida – LEGGI
Giuseppe Colangelo – LEGGI
Claudio Gaspari – LEGGI
Foto a cura di: Giuseppe Ritucci
Marina Bolmini