Spesso ci troviamo a raccontare le storie di giovani che partono da questo territorio e, con tanto impegno e passione, portano avanti importanti percorsi professionali nei luoghi che li accolgono. Allo stesso modo, però, ci sono tanti giovani che scelgono di restare e, altrettanto impegno e passione riescono a conquistare importanti traguardi personali e nel mondo del lavoro ma che, spesso, non trovano la meritata valorizzazione. Ed ecco che, in una delle nostre riunioni di redazione, abbiamo deciso di iniziare a conoscere “Quelli che… restano”. Incontreremo tanti under 40 che, nel nostro territorio, si danno da fare ogni giorno per la loro crescita e, perché no, per quella di questo lembo a sud dell’Abruzzo.
Lui è Nereo Di Giulio, 31 anni tra tre giorni, nato e cresciuto a Paglieta, quattro esami alla laurea in Ingegneria agroindustriale, messa da parte per “sporcarsi le mani”, cinque anni e mezzo fa, dall’azienda di famiglia, ha deciso di crearsi una pasta a sua immagine, “La pasta di Nereo”, con la ferma convinzione che “per restare serve più coraggio che per partire”.
Una tradizione di famiglia. “A chi mi chiede quando ho iniziato a lavorare, io rispondo da sempre, giocando da piccolo e in fondo continuo a giocare anche oggi”, dice Nereo, cresciuto nel frantoio di famiglia, a Paglieta da sei generazioni. Un amore nato da subito quello la per sua terra e per questo lavoro che, con questa terra, ci va a braccetto. “Negli anni ’90 mio padre, Angelo Maria, il mio maestro, – racconta Nereo – ha avuto l’intuizione di ricomprare un mulino. Quando il mondo andava verso l’industrializzazione, lui ha puntato all’artigianato, è stato lungimirante”. Oggi incontriamo Nereo alla fine della campagna olearia, nel frantoio, tra contadini che arrivano e che vanno via trovando sempre il sorriso tipico di chi lavora, sì tanto, ma con passione, dal suono della sveglia la mattina.
La pasta. Ma è dopo anni accanto al papà, a carpire tutti i segreti di questo lavoro, senza mai fare un semplice copia/incolla del passato, che Nereo ha iniziato a pensare ad un progetto nuovo, che lo rappresentasse e che potesse coniugare la tradizione di famiglia con una spinta verso il futuro, e che potesse andare oltre olio e farine. “Ho iniziato a chiedermi cosa volessi fare della mia vita – confessa Nereo – e la mia pasta, che, sì, porta il mio nome, è nata per gioco ed oggi è una bella realtà”. “La pasta di Nereo” parte da 500 pacchetti regalati a parenti e amici che, una volta finite le scorte, non hanno [mar_sx] esitato a chiederne ancora, ma questa volta da comprare. E allora il gioco si è trasformato in una impegnativa ma sempre stimolante nuova sfida che ha portato l’azienda Di Giulio a produrre 30mila pacchi di pasta nell’ultimo anno. Una pasta selezionata, davvero a Km0, 100% grano, lavoro e passione. “Nell’epoca del consumismo sfrenato – sottolinea Nereo – io vado un po’ più piano e sono convinto che chi mette nel proprio lavoro qualità, trasparenza ed onestà, non sbagli mai. Ed è quello che provo a fare io.
Perché restare. Il legame con la sua Paglieta ed il suo Abruzzo, per Nereo, è quasi viscerale. “Io non riuscirei mai ad immaginare di lavorare e vivere altrove. – ci dice – Il mio lavoro è la mia terra. Con il grano e con l’ulivo, proprio come accade con il vino, noi viviamo di annate e non è facile. Ma mi piace sporcarmi le mani, metterci del mio, guardare al futuro senza dimenticare da dove arriviamo in un giusto mix tra passato e presente e, piuttosto, io mi chiederei: perché andare via?”. E la sua piccola dimensione artigianale non gli sta stretta, anzi, è proprio quello che cerca. “Potremmo ingrandirci? Sì, ma la libertà che si ha a restare piccoli e legati al territorio, al giorno d’oggi, non ha prezzo. Siamo tutti precari? Tanto vale tenerci stretta la nostra libertà”.
Cosa manca. Come ci ha detto all’inizio della nostra chiacchierata, “restare è un atto di coraggio” e lo è per via della eccessiva burocrazia, della scarsa meritocrazia e degli innumerevoli ostacoli che si trovano ogni giorno sulla propria via. “Il nostro turismo dovrebbe puntare più sui prodotti locali – conclude – a partire dalla ristorazione. Abbiamo un territorio fantastico con prodotti altrettanto fantastici, vanno fatti conoscere ai turisti che vengono in Abruzzo, dalla montagna, alla Costa dei Trabocchi, è questo il nostro oro”. Così come andrebbe premiato il coraggio di chi decide di restare nella propria terra, con le proprie risorse e, in questo caso nel vero senso della parola, per la propria terra, ci mette la faccia e il nome.
QUELLI CHE… RESTANO
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