La strada per arrivare a Castiglione Messer Marino non è sicuramente delle più confortevoli e semplici, tuttavia quando si arriva la sensazione di benessere è talmente dirompente da sentirsi su un nuovo pianeta. Le piccole strade del paese sono quasi deserte e illuminate dalla timida luce di un sole che, da queste parti, va a dormire presto l’inverno. Proprio qui, camminando per le strade di montagna, si può arrivare al laboratorio del professor Giuseppe Colangelo, scultore da ormai una vita.
“Quando ero bambino ero bravissimo a fare il presepe, ero un maestro”, ci racconta, “la mia prima opera risale al secondo anno di istituto d’arte, periodo in cui ero appassionato della scultura di Giacomo Manzù, famoso per i suoi cardinali. Io feci un cardinale, dove lo spettatore poteva guardarlo da attraverso un chiavistello. Quest’opera andò venduta”.
La formazione di Giuseppe inizia all’Istituto d’arte di Vasto negli anni in cui “C’erano dei grandi maestri: Besca, Armenti, Petrocelli, Asta, Milazzo. Grandi artisti”. Dopo trent’anni, Giuseppe insegna proprio lì, in quello che all’epoca era il suo Istituto d’arte e oggi è diventato Liceo artistico. Prima di Vasto ha passato diversi anni a insegnare a Basilea e poi a Perugia dopo aver terminato il proprio percorso all’interno dell’Accademia delle belle arti. Mentre ci racconta della sua vita, Giuseppe si muove da uno spazio all’altro del suo laboratorio, prendendo ora questa, ora quell’opera, come se fossero reperti storici di un percorso ben scandito e, soprattutto, scolpito nella pietra. Effettivamente Giuseppe ha avuto delle fasi creative diverse tra loro nell’arco della sua carriera. In questo momento l’elemento da cui trae maggiore ispirazione è la natura. Le sculture attuali rappresentano germinazioni, innesti, fioriture, fusti. “Mi ispiro molto alla natura. I miei drappi di pietra sono il simbolo che rimanda al vento, a come col tempo sia capace di modificare la pietra. I canyon ce lo insegnano, per esempio. È la prova di come una leggerezza possa modificare la massa”. Tuttavia, sparsi nello studio, sono diverse le figure femminili che troviamo scolpite nella pietra “Il filone precedente era collegato alle figure fittili, statuine che portavano fortuna da mettere nelle tombe – spiega – a me interessava molto la figura femminile, senza senso psicologico però, solo il senso della Grande Madre. Infatti, realizzai dei modelli proprio con la pietra della Majella, e anche lì il collegamento: Maja, la Madre, la Terra”.
Non c’è solo una stagionalità nei filoni seguiti da Giuseppe Colangelo, ma il suo lavoro sembra seguire l’andamento delle stagioni anche durante il corso dell’anno. “In inverno difficilmente scolpisco, faccio prevalentemente bozzetti”, bozzetti che, a primavera, quando le temperature sono più miti, fioriscono dalla pietra e si concretizzano nel loro senso e nella loro natura di opere d’arte. Nello studio di Giuseppe non c’è musica. O meglio, non nel senso stretto del termine. Il suono della pietra pomice che leviga la pietra è assoluto, riempitivo e, in qualche modo, sembra essere il suono di appartenenza di questo posto. Espandendosi oltre la soglia dello studio di Giuseppe, arriva fino ai boschi circostanti, li oltrepassa, ritorna alla pietra delle montagne del territorio.”Utilizzo molto la pietra della Majella, giallo paglierino solitamente. Sono pietre caratterizzate da una forte presenza fossile”, ci spiega indicandoci proprio il resto di una conchiglia incastonata nella pietra che ha nello studio, residuo di chissà quale era geologica.
Così, le opere di Giuseppe raccontano non solo quella che è la sua storia, ma anche quella del suo territorio, quella di tutti. Una narrazione che parte dal più inaspettato e forse angusto di tutti i luoghi, un piccolo paese di montagna dove il tempo scorre diversamente, ma quando gli si chiede il perché di una scelta così particolare, Giuseppe sorride e in modo molto semplice e lineare confessa: “Vivere in altitudine, con tutti i suoi difetti e le sue problematiche, mi ispira”.
Foto a cura di: Giuseppe Ritucci