Un turismo di qualità legato alle produzioni del territorio, a partire dall’agro-alimentare. Su questo, secondo il professor Emanuele Felice, il Vastese deve progettare il proprio futuro.
Docente di economia applicata all’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara, editorialista del quotidiano La Repubblica e del settimanale L’Espresso, autore di libri di successo, editi dalla storica casa editrice Il Mulino (“Perché il Sud è rimasto indietro”, “Ascesa e declino: storia economica dell’Italia”, “Storia economica della felicità” e “Il Sud, l’Italia, l’Europa. Diario civile”), ieri sera, a Vasto, è stato relatore, insieme all’economista e responsabile nazionale delle politiche del lavoro del Pd, Giuseppe Provenzano (autore del libro “La sinistra e la scintilla. Idee per un riscatto”, edito da Donzelli), del primo dibattito della nuova edizione di Boox & Wine. A moderare l’evento è stata la giornalista Rai Maria Rosaria La Morgia.
Zonalocale ha rivolto due domande a Emanuele Felice.
Professore, l’Abruzzo, che in passato era considerato la locomotiva del Mezzogiorno, da diversi anni sembra diventato l’ultimo vagone. Per questa regione qual è la via d’uscita dalla crisi?
“A dire il vero, nell’ultimo rapporto Svimez scopriamo che l’Abruzzo nel 2018 è la regione cresciuta di più di tutto il Mezzogiorno (+1,7%). Le posizioni sembrerebbero quindi ribaltate. Tuttavia, a ben guardare, si tratta di un successo dovuto interamente alle costruzioni (addirittura +12,7%), in parte come rimbalzo per la pessima performance degli anni scorsi, in parte, forse, come risultato di scelte elettoralistiche. L’industria continua ad andare piuttosto male (-1,2%), penultima nel Sud dopo la Calabria. Il problema, quindi, c’è ed è piuttosto serio: l’Abruzzo ha perduto quella caratterizzazione di eccellenza che, invece, c’è ancora in alcuni centri manifatturieri di altre regioni (la Puglia, la Sicilia, per certi aspetti anche la Campania): l’Abruzzo deve riuscire a inserirsi nelle catene globali del valore, magari sfruttando meglio le potenzialità anche dei suoi territori interni, da legare alla metropoli romana”.
Le piccole aziende del Vastese continuano a chiudere e anche le grandi industrie sono in difficoltà. Serve un nuovo modello di sviluppo e, se sì, quale?
“Definire i contorni di un nuovo modello di sviluppo è sempre difficile e rischia spesso di risolversi in esercizi retorici. Preferisco parlare, più semplicemente, di quello che c’è e di quello che si potrebbe fare. E, a grandi linee, vale per il Vastese quanto appena detto per l’Abruzzo. Con una differenza in positivo e una in negativo. Partiamo da quella positiva. Il territorio del Vastese ha una densità demografica più bassa e una città, Vasto, che per potenziale turistico non ha rivali lungo la costa abruzzese. Vasto deve avere l’ambizione di offrire un turismo di qualità, che ne faccia un centro riconosciuto nel panorama quantomeno nazionale; ma dovrà legarlo meglio ai grandi centri di domanda nazionale (il Lazio e la Campania, ma anche il Centro-Nord), estenderlo al di là delle settimane centrali dell’estate, e metterlo in forte sinergia con le produzioni (penso soprattutto all’agro-alimentare, ma non solo) del suo territorio; oltre, ovviamente, a investire nelle necessarie infrastrutture, anche sociali, e magari anche innalzare l’offerta culturale. C’è poi, purtroppo, anche uno svantaggio, rispetto a Pescara-Chieti, ma anche a Teramo e a L’Aquila: la totale mancanza di centri universitari e di ricerca, in grado di fare da incubatori di capitale umano e che supportino, quindi, lo sviluppo del territorio; su questo continuiamo a scontare gli errori commessi dalle nostre classi dirigenti fra gli anni Novanta e Duemila, e da allora non ci siamo più ripresi”.