“Mia figlia non torna. Ma lo facciamo per chi verrà dopo”. Mario Tinari spiega a Uno Mattina il perché della battaglia legale intrapresa dai familiari delle vittime della tragedia dell’hotel Rigopiano. Sono trascorsi due anni e mezzo dalla valanga che, il 18 gennaio 2017, ha sommerso il resort di Farindola.
“Erano lì per festeggiare nove anni di conoscenza”, ricorda Tinari, papà di Jessica, 24 anni, di Vasto, che era lì col suo ragazzo, Marco Tanda, venticinquenne marchigiano. Con lui, negli studi di Rai 1, ci sono l’avvocato Romolo Reboa e il direttore del quotidiano Il Centro, Piero Anchino.
“Si vive alla giornata – racconta Tinari – senza interessi. Ho quasi rinunciato a leggere tutti quegli articoli di legge. Ci saranno i nostri legali ad occuparsene. Cerchiamo giustizia, non vendetta” nella consapevolezza che “i nostri ragazzi non torneranno”. I conduttori, Roberta Bisti e Roberto Poletti, gli ricordano le tante tragedie italiane in cui non sempre è stata fatta giustizia: “Lo so”, risponde Mario. “Dagli anni Sessanta con il Vajont. Speriamo che questa sia la volta buona”.
Reboa elogia il lavoro attento della Procura di Pescara. Secondo il legale, il fatto che il processo sia iniziato dopo oltre due anni dalla slavina (prossima udienza a settembre) significa che i magistrati hanno indagato con attenzione, ma “il problema è se questo processo riuscirà a fare giustizia”.
“Se uno mi chiede chi è responsabile – dice Tinari – io rispondo che non lo so. C’è stata una catena di errori”, ma ribadisce che “nessun essere umano può permettersi di mettere a rischio o interrompere la vita di altri”. “Jessica era una ragazza solare, semplice, non chiedeva mai nulla. Si era diplomata, poi si era presa una breve pausa per riflettere, quindi aveva preso la qualifica di estetista. Con Marco”, primo ufficiale della Ryanair, “stava pensando al futuro. Lei e Marco erano le nostre stelle polari e ciò che facevamo era per loro. Ora non ho più lo stimolo. Chiediamo giustizia, perché sia d’esempio per il futuro”.
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