Ieri penultimo incontro della Settimana del patrimonio culturale insieme all’associazione Italia Nostra. Un manipolo ben assortito di persone si è ritrovato nei pressi della chiesa di S. Antonio Abate per visitare di persona l’acquedotto romano delle Luci. Forse non tutti sanno che l’acquedotto è chiamato “delle Luci” proprio in riferimento ai suoi pozzi. Immaginando, infatti, di essere all’interno dell’acquedotto, i pozzi fungevano da lucernario: le cosiddette luci appunto. Prima della passeggiata tra i campi per visitare l’acquedotto è stato spiegato il percorso che si sarebbe svolto e alcune anticipazioni riguardanti un’effettiva mobilitazione da parte della sovrintendenza nei confronti di questo patrimonio storico vastese. Abbiamo rivolto qualche domanda a Marco Rapino, l’archeologo esecutore dei sopralluoghi all’interno dell’acquedotto.
A livello strutturale, in che condizioni è l’acquedotto romano?
Diciamo che gode di una salute media. Ovviamente parlo dei tratti che ho potuto esplorare. Il dato importante è che c’è. Anche oggi ci si potrà rendere conto che esistono circa 50 pozzi visibili.
Cosa si potrebbe fare di concreto per valorizzarlo?
In primo luogo, bisognerebbe salvaguardarlo. Capire esattamente dov’è e in che condizioni è, dato che ci siamo accorti dell’esistenza di alcuni rami secondari. In secondo luogo, bisogna sicuramente sistemare il piano del vincolo archeologico, attualmente incoerente rispetto alla realtà dell’acquedotto. Successivamente, sarebbe utile capire dove va a finire l’acqua trasportata dall’acquedotto, dato che al momento sappiamo che c’è ma non dove va a a finire, si sa solo che la struttura finisce in zona Villa comunale. Quindi una zona a rischio per le frane e la falda acquifera.
Una volta svolti questi accertamenti sarebbe possibile fare delle escursioni interne all’acquedotto?
Questa è un’esperienza che già stiamo svolgendo a San Salvo, dove però abbiamo una serie di condizioni favorevoli per farlo. Cose analoghe sarebbero possibili anche qui ma bisognerebbe trovare la condizione ideale, appunto. Si potrebbero fare anche altre cose: per esempio alla Villa comunale, dove c’è il pozzo, affiggere un’insegna che segnala la presenza di questo patrimonio culturale e spiegare tutte le sue specifiche. Non penso abbia dei costi proibitivi. A Vasto, purtroppo, siamo bravissimi a non spiegare ai turisti quello che stiamo vedendo. Per esempio il muro delle Lame, o quell’obbrobrio di vetro posizionato in piazza Rossetti.
Tutti, chiaramente, sappiamo che Vasto è di epoca romana ma, di fatto, nessuno sa che c’è anche quest’acquedotto che, paragonato alle altre emergenze archeologiche a noi note, è la cosa più importante ed estesa al momento.