Sgomento, lacrime, paura. Queste sono alcune delle sensazioni emotive che ognuno di noi ha sperimentato in quella notte buia e senza tempo. L’emblema di una religione, di un’identità cade ingloriosamente, divorata dalle fiamme e quasi stramazza al suolo, al grido disperato di dolore.
Ripartiamo da qui: la ricostruzione di Notre-Dame ci ricorda chi intendiamo essere e cosa vogliamo. È sempre difficile non emozionarsi e piangere davanti a Notre Dame a fuoco. Le lacrime, purtroppo, non spengono gli incendi, non aiutano, eppure ci dicono chi siamo davvero in quel momento.
Nella nostra cara storia, dal Medioevo, per poi passare all’Umanesimo e oltre, la realizzazione di una Cattedrale ha da sempre rappresentato un momento solenne, quasi magico: un insieme di persone, di donne e di uomini si fa popolo, diventa comunità a sé stante. La cattedrale medievale è stata il “tempio” dell’anima di un cittadino: certamente il luogo della preghiera, dell’incontro con Dio, ma anche il luogo dell’incontro, del trionfo della tecnica, delle arti, del genio. Ah, il genio: è qui che Notre-Dame diventa una delle sfide più importanti del nostro tempo, in cui arte, passione e innovazione si fondono per costruire il futuro.
Come lo era nelle epoche passate, Notre-Dame rappresenterà un’accozzaglia di sogni e ambizioni per i costruttori del futuro, perché posando quella pietra, ognuno di loro contribuisce al proprio essere cittadino, riconosce l’appartenenza a qualcosa di più grande di lui, in un’epoca in cui i valori diventano apparenti, vengono smaterializzati, calpestati.
[ads_dx]Notre Dame è la cattedrale che ha affascinato migliaia di persone del mondo, nata più di 850 anni fa, ma di cui nessun imperatore ha mai potuto fare a meno, da Enrico VI d’Inghilterra fino a Napoleone e alla sua incoronazione. Un simbolo della cultura vivente, dell’oggetto che diventa inchiostro, che si fa romanzo: come non ricordare il genio di Hugo e il gobbo Quasimodo di “Notre-Dame de Paris”.
Il dolore è troppo grande per non dare sfogo ai ricordi, ma adesso è tempo di “rimboccarsi le maniche”, di ridare slancio e grandezza al cristianesimo in Francia, di ricostruire una cultura identitaria, forte contro ogni forma di estremismo.
E’ vero che, nonostante siamo di fronte ad une delle opere d’arte più bella mai creata, le lacrime sono troppo deboli per spegnere un incendio. Le lacrime, tuttavia, ricordano che siamo ancora capaci di emozionarci per qualcosa che non è nostro, che eppure ci appartiene. Ci ricordano che noi tutti siamo i rappresentanti dei valori che veicoliamo, della cultura che esprimiamo, della bellezza che contempliamo. Ci attende una grande sfida: la bellezza e la grandezza della ricostruzione servirà a riscoprire le nostre identità di donne e uomini di questo mondo, a restituire curiosità e tenacia alle giovani generazioni così lontane, distanti dalla realtà delle cose.
C’è da ricostruire una cattedrale: per ricordarci chi siamo e chi vogliamo essere.
Sergio Mucci