Giovane, determinata, con una personalità solida e con un bel bagaglio di valori che difende strenuamente. E’ Alessandra Di Labio, studentessa di sociologia e criminologia che, a 23 anni non ancora compiuti, ha deciso di trasformare i suoi studi in volontariato, a servizio dei detenuti del carcere di Villa Stanazzo a Lanciano.
“Insieme alla mia professoressa del liceo, Cristiana Antonelli, circa un anno e mezzo fa ho deciso di iniziare questo percorso con i detenuti facendo con loro attività culturali e di recupero. – ci racconta Alessandra – E oggi, dopo tutto questo tempo, sono sempre più felice della mia scelta ed è proprio questo che, dopo la laurea, vorrei fare nella vita”.
Insieme alla professoressa Antonelli, Alessandra lo scorso anno ha vinto anche il premio del Centro per il libro e la lettura del Mibact [LEGGI QUI] con “Uomo, un patrimonio da salvare”, il progetto di promozione alla lettura fatto proprio con i detenuti del carcere di Lanciano. “A me sinceramente non interessano questi riconoscimenti, – dice Alessandra senza falsa modestia – questo premio è loro, non mio. Invece, per me, la più grande gioia è vedere che chi partecipa ai nostri incontri stia realmente facendo un percorso interiore importante, anche grazie ai nostri spunti di riflessione”.
Una scelta difficile e coraggiosa la sua. A 22 anni, infatti, decidere di lavorare in un carcere maschile di massima sicurezza non è da tutte ma, senza troppi giri di parole, lei dice di non aver mai avuto paura. “Dopo il primo incontro, sono uscita fuori e sono scoppiata in un pianto disperato. – ci confessa Alessandra – Le mie lacrime erano di emozione e soddisfazione perché mi ero resa conto di aver trovato la mia strada. E’ difficile per una ragazza andare [mar_dx] oltre quelle sbarre? Se dicessi di no sarei un’ipocrita, ma io posso dire di essere stata accolta in modo pulito dalla direzione, dal personale e dai detenuti; se ti mostri aperta al dialogo e senza pregiudizi – spiega – loro si apriranno con te”.
Oggi, sempre insieme alla prof Antonelli, con cui ha stabilito un vero rapporto di empatia, porta avanti un progetto sulla storia e sui miti, cercando di utilizzarli come ponte per andare alla ricerca dell’io più profondo dei partecipanti ai corsi. “Oggi sono in 46 e si mostrano ogni volta più interessati e coinvolti. – racconta Alessandra – E sono sempre di più i momenti che mi rendono orgogliosa di quello che sto facendo, ma soprattutto è immenso l’affetto che riescono a darci”.
E in realtà parla di un percorso che, in un certo senso, serve forse più a lei che ai detenuti perché ogni volta è ‘costretta’ a mettersi in gioco e in discussione in un rapporto quasi alla pari, dove non ci sono lezioni frontali ma lunghi e stimolanti dibattiti.
“So che può sembrare strano che una ragazza della mia età abbia una passione come questa ma, – sottolinea ancora – mi sentirei di consigliarla a tutte quelle persone che hanno, sì grandi consapevolezze ed una personalità forte, ma soprattutto voglia di fare un viaggio dentro se stessi, insieme a chi ha sbagliato ma sta provando a migliorare. Al di là di quelle sbarre ci si rende conto che, neanche troppo in fondo, siamo tutti essere umani”.