“I miei genitori sono italiani due volte, per nascita e perché nel ’47 hanno scelto nuovamente di esserlo”. Con questa semplice frase Carlo Alberto Agostinis, esule istriano, ha spiegato, durante la cerimonia per il Giorno del Ricordo, la complessa questione del confine orientale italiano al termine della seconda guerra mondiale.
Ai piedi del monumento in largo Martiri delle Foibe, guardando le mani che tendono verso il cielo, ha raccontato commosso la storia della sua famiglia. Aveva solo tre anni quando fu costretto a lasciare la sua terra per motivi di mere spartizioni politiche tra vinti e vincitori del secondo confitto mondiale. “I miei ricordi sono confusi – afferma – ma ricordo benissimo l’esodo, i grandi centri di raccolta in cui eravamo costretti a vivere, famiglie separate tra loro da semplici coperte utilizzate come muri per ricavare un po’ di privacy. Una situazione difficile – racconta – in cui speranza e timore viaggiavano di pari passo nell’attesa di tornare a vivere una vita normale”.
Una cerimonia sentita e commossa, quindi, quella di questa mattina a cui hanno partecipato autorità civili e militari nel ricordo dell’esodo giuliano e dalmata e dei martiri delle foibe, uccisi dal regime jugoslavo di Tito con la sola colpa di essere italiani.
Nel 1948 Carlo e la sua famiglia, di nuovo riconosciuti come italiani, hanno poi deciso di trasferirsi in Abruzzo, a Lanciano, per motivi di lavoro e, anche a chilometri di distanza dalla penisola istriana, non hanno mai smesso di ricordare quanto accaduto.