Cerchiamo di dare un senso:
“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso ‘sfida’ come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale”.
Il pensiero è di Hannah Arendt, una delle personalità più importanti del secolo scorso. Storica, filosofa, politologa, ha rappresentato un momento di cerniera tra passato e presente, ha portato alla luce verità che erano rimaste da molto tempo sopite, ha dato voce all’orrore, allo sgomento, al male.
L’argomento che vorrei trattare è stato sviscerato oramai in tutte le sue sfaccettature più evidenti, portando alla luce testimonianze che non riescono a dare un senso, un rimedio all’accaduto. Un farmaco a questo male così radicalizzato si è rivelato inesistente e allora il desiderio è quello della comprensione, della conoscenza come elemento di lotta all’oblio, alla perdita di memoria.
LE INDAGINI STORICHE – La Arendt, nel 1963, pubblica un saggio dal titolo La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme. Il testo in questione è un resoconto del diario dell’autrice sulle varie sedute del processo ad Adolf Eichmann, un gerarca nazista, uno dei principali esecutori materiali della tragedia delle deportazioni, “padrone” della vita e della morte di migliaia di uomini e donne. Uomo mediocre, rimasto all’ombra dei grandi gerarchi nazisti per tutto il tempo, ma capace di organizzare la più grande macchina di distruzione che sia mai esistita nella storia: la macchina dello sterminio. In esilio in Argentina, fu catturato nel 1960 dagli Israeliani e condannato a morte nel maggio del 1962.
Questa sentenza ha lasciato molte perplessità tra gli storici e nella stessa Hannah Arendt, non per la giustezza della condanna, quanto per la strumentalizzazione operata dallo stesso Stato d’Israele, che, sebbene non ancora esistente all’epoca dei drammatici fatti, si sarebbe arrogato il diritto di processare Eichmann.
L’UOMO EICHMANN: L’INCONSAPEVOLEZZA DEL MALE – La nostra autrice prende spunto da questo processo per una riflessione molto più ampia del circoscritto evento. Eichmann, ci dice la Arendt, “era tutto fuorché anormale, chiunque poteva diventare come lui: sarebbe bastato essere senza idee”. Egli non si rendeva conto di quello che stava compiendo, del crimine che stava perpetrando: era una persona alienata, calata nella realtà che gli si poneva davanti, inconsapevole di essere un mero ingranaggio di una macchina distruttiva e senza senso.
Questo è uno dei presupposti del totalitarismo: la mancanza di intelligenza. Il male fa radici nell’essere umano “inconsapevole volontario”: è questa la chiave di lettura per interpretare questa tragedia. Il nazista si configura come uno strumento di un ordine costituito e sovradeterminato, che si riteneva infallibile ed immutabile. Questo mondo in cui trovava rifugio indicava la sola speranza di uscire fuori da una vita “banale”, statica.
Ma allora qual è la lezione di quest’opera? Ecco che è riassunta a fine libro: “Eichmann non era stupido, era semplicemente senza idee. Quella lontananza dalla realtà e quella mancanza di idee possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo. Questa fu la lezione di Gerusalemme. Ma era una lezione, non una spiegazione del fenomeno, né una teoria”.
Ancora una volta è la testimonianza della storia a rendere partecipi tutti noi di un crimine verso l’umanità, di un delitto senza anima, senza ragione. L’occhio critico ci porta a diffidare dai “non-pensanti”, incapaci di distinguere il bene dal male, di stabilire un dialogo con se stessi.
La Giornata della Memoria simboleggia il ricordo degli eventi vissuti, che non vanno dimenticati e offuscati. Ma questo giorno è anche il giorno della riflessione, che ci insegna a vivere come persone pensanti e consapevoli.
Le nostre generazioni hanno un grande dono da portare avanti: il peso di essere umani.
Sergio Mucci