Smartphone, dirette Facebook, odio da buttare fuori al momento opportuno e tanto tempo libero. Sono questi gli elementi caratterizzanti della variegata platea che ieri ha atteso di poter “guardare in faccia” uno dei rapinatori di Carlo Martelli e Niva Bazzan, sceso dopo oltre 7 ore dall’abitazione di corso Roma, covo dei malviventi, insieme agli investigatori di Polizia e Carabinieri [LEGGI QUI].
Un pubblico non pagante di centinaia di persone che ha scelto di trascorrere la giornata di fronte ad un portone anonimo, diventato improvvisamente l’ombelico del mondo, sfidando il freddo, la noia e la batteria scarica dei cellulari per soddisfare il desiderio di esserci. Quasi un obbligo morale quello di essere presenti, smartphone alla mano, improvvisandosi reporter dell’ultimo minuto, premendo il tasto avvio su una diretta Facebook, sentendosi così inviati di se stessi.
Moderni giornalisti senza filtri, senza fonti attendibili ma con l’arma più potente: uno smartphone, la connessione internet e la voglia di essere protagonisti.
“A pranzo non torno, ora devo restare qui, fatevi un po’ di pasta di bianco”, dice al telefono la mamma di famiglia a chi la chiama da casa. “No, Anna può tornare a piedi da scuola, non la vado a prendere, io resto qui a fare la diretta”, dice il papà alla mamma a casa in attesa di notizie. Poi c’è l’anziano signore che si definisce “un cittadino italiano” e che inveisce contro gli investigatori perché è ora di pranzo e “fatelo scendere, ché si scuoce la pasta”.
Un triste spettacolo che si è consumato sotto gli occhi attoniti degli studenti dell’istituto De Titta che, col naso dietro i vetri delle proprie aule, assieme ad uno scenario da CSI, si sono trovati di fronte il peggiore degli esempi educativi, proprio al di là dei banchi di scuola.
E poi c’è il popolo delle fake news, di chi dileggia i giornalisti perché no, non c’è bisogno di filtri. Di quelli a cui basta un [mar_dx] messaggino, una foto inoltrata sulla chat di famiglia di Whatsapp per concludere le indagini, per sapere chi è il colpevole e chiudere il caso, senza il lavoro della polizia scientifica.
Oltre 7 ore in attesa, per veder entrare nell’auto della polizia un ventenne ancora senza volto e senza nome, coperto da un cappuccio e urlargli contro tutto il proprio odio ed il proprio disprezzo. Il tutto a poca distanza da un altro portone, quello della chiesa di Santa Chiara, di fronte cui ci si assiepa, durante la settimana santa, per attendere un altro uomo coperto da un cappuccio, il Cireneo, durante le solenni processioni di Giovedì e Venerdì Santo. Un cappuccio, sentimenti diversi, stesse persone, nello stesso posto, pietà e degrado a pochi metri di distanza.