Proteste, occupazioni, repressione, morti: anche i piccoli comuni della Valle del Trigno e dell’entroterra vastese nella storia recente hanno il proprio tributo di sangue e arresti all’interno della stagione delle lotte contadine.
L’anno particolarmente caldo è stato il 1950, quando i comuni della zona facevano ancora i conti con la miseria e un difficile dopoguerra che saranno sorpassati solo un decennio più tardi con l’avvento delle fabbriche nella zona.
I comuni più irrequieti furono San Salvo, Lentella e Cupello. Il seme della protesta era presente da tempo; a Scerni e nella stessa Cupello ad esempio già nel 1944 si ebbero forme di lotta sulle vertenze per le terre tratturali nei confronti del Commissariato di Foggia e dei frontisti (come documentato dallo storico Giovanni Artese nel volume La valle del Trigno e la Cooperativa euro-ortofrutticola del Trigno). Il malcontento fu capitalizzato e organizzato dalla Cgil che soprattutto in alcuni piccoli centri era molto forte.
In comune c’era la condizione di estrema precarietà e povertà dei contadini della zona. L’agricoltura era una delle poche fonti di sostentamento, ma gli appezzamenti di proprietà molto spesso non raggiungevano i due ettari di superficie, mentre dall’altra parte c’erano i grandi possedimenti dove i piccoli proprietari terrieri lavoravano come braccianti, mezzadri e affittuari.
CUPELLO – La miccia si accese per prima a Cupello, il 12 febbraio. Le famiglie Pacelli, D’Avalos, Marcucci, Boschetti, Lucarelli e Suriani erano i principali proprietari dei fondi sui quali lavoravano i contadini poveri. Quel giorno fu convocata un’assemblea durante la quale i braccianti chiesero l’applicazione delle norme a tutela del loro lavoro e che il 4% della produzione venisse reimpiegata in migliorie. Le famiglie citate ritennero di non dover neanche trattare.
Scattò così lo sciopero alla rovescia: si lavorava gratis come forma di lotta per poi chiedere la retribuzione. Squadre di braccianti eseguirono lavori sui canali di scolo dei D’Avalos e dei Pacelli. In questo secondo caso intervennero i carabinieri che arrestarono 8 capisquadra.
Il 14 febbraio centinaia di cupellesi scesero in piazza chiedendo la scarcerazione, per tutta risposta vennero arrestati anche Guido Fabrizio e Tonino Rapposelli, i leader di quel movimento. Lo scontro si fece duro, la Cgil proclamò uno sciopero comprensoriale e provinciale che scattò il 17 febbraio e al quale seguì un’altra manifestazione a Cupello.
Tutti gli arrestati vennero rilasciati, ci furono 101 persone denunciate molte delle quali condannate a 1 mese di reclusione e una multa; pene poi annullate dall’amnistia. Cupello tornerà agli onori delle cronache una decina d’anni dopo, quando la popolazione mise in atto dei moti di protesta per usare in loco il metano scoperto dall’Agip.
SAN SALVO – A San Salvo – che all’epoca contava circa 4mila abitanti – la protesta arrivò circa un mese dopo, il 12 marzo. Qui la speranza di un futuro migliore era riposta nella trasformazione in terreni agricoli del bosco Motticce, a ridosso del fiume Trigno e del confine con Montenero di Bisaccia. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il bosco fu diradato per le esigenze belliche e ne restava ben poco. Il Comune avanzò al governo la proposta di destinare 150 ettari a seminativo per ragioni economiche, sanitarie e occupazionali. Prefetto e Corpo forestale acconsentirono all’operazione per soli 40 ettari, una miseria.
Partì così, il 12 marzo, l’occupazione di quelle terre nonostante gli inviti alla calma di sindaco e autorità. La repressione non si fece attendere con 23 arresti nella prima giornata. Il 13, la repressione continuò con tafferugli tra carabinieri e occupanti; ne vennero arrestati altri 4, ma i manifestanti restarono lì. Il giorno successivo da Chieti furono inviati ben 200 uomini tra carabinieri e polizia, i contadini si nascosero nella boscaglia. C’erano tutti i presupposti per uno sgombero violento, ma decisiva fu la mediazione del parlamentare del PCI, Bruno Corbi che convinse gli occupanti a tornare a casa con la promessa di portare a Roma la questione. Il 17 marzo gli 81 arrestati nelle tre giornate furono rilasciati.
La richiesta di assegnazione si sbloccò anche se per andare avanti furono necessarie minacce di nuove occupazioni. Si arrivò così alla suddivisione di quelle terre per 133 contadini (poco più di un ettaro a testa) che dopo un travagliato percorso burocratico poterono finalmente essere coltivate (prima come seminativi, in seguito frutteti) nel 1958.
LENTELLA – I fatti di Lentella arrivarono a ruota a quelli di San Salvo. Qui i contadini poveri – gran parte della popolazione – premevano per la sistemazione della strada che scendeva nella valle del Trigno vista come sbocco verso migliori condizioni di vita, ma l’intervento dello Stato latitava. Lo sciopero alla rovescia fu la risposta: numerosi contadini andavano a lavorare alla strada (le donne li rifornivano di viveri durante il giorno) e la sera riponevano gli attrezzi nella Camera del Lavoro al piano dell’edificio comunale intonando canzoni di protesta.
Il 21 marzo la tensione era palpabile, dopo giorni di tafferugli con i carabinieri. Al ritorno dopo una giornata di lavoro, mentre il corteo si trovava a ridosso del Comune, uno dei due appuntati presenti all’ingresso del municipio aprì il fuoco. Restarono uccisi sul colpo Nicola Mattia e Cosmo Mangiocco; decine furono i feriti leggeri. I leader della protesta dovettero riparare nei centri limitrofi (tra loro il futuro sindaco comunista Pierino Sciascia al quale fu proposta la fuga in Russia). I funerali si tennero in un clima di terrore con i cecchini appostati sui tetti delle case; l’anno dopo ai lentellesi fu impedita la commemorazione del primo anniversario dell’eccidio.
La Cgil nei giorni successivi proclamò uno sciopero nazionale durante il quale ci furono scontri durante i quali si registrarono altri morti dovuti alla repressione ordinata dal ministro Scelba. I fatti di Lentella approdarono sui principali giornali dell’epoca e nelle aule parlamentari. Qui Bruno Corbi, lo stesso che qualche giorno prima fu decisivo a San Salvo, con la sua testimonianza portò a conoscenza dei colleghi le condizioni di estrema povertà nelle quali versava i contadini lentellesi. In questa vicenda 90 persone furono denunciate, ma le pene vennero successivamente amnistiate.
Oggi quella strada rappresenta l’arteria principale usata dalla popolazione locale per raggiungere servizi, lavoro, sanità e scuola.