Da oltre 50 anni, nonostante gli alti e bassi, i venti di crisi e la concorrenza spietata da Est e Nord Europa, è una delle realtà occupazionali tra le più importanti dell’Abruzzo seconda solo alla Sevel di Atessa. Parliamo della Pilkington di San Salvo che tra stabilimento centrale e i due satellite (Primo e Bravo) arriva a occupare circa 2.500 persone.
Oggi fa capo a una finanziaria giapponese, il colosso Nippon Sheet Glass, ma quando nacque, rappresentava uno dei fiori all’occhiello del boom economico del Belpaese: quella gloriosa Società Italiana Vetro che oggi le migliaia di lavoratori passati in Piana Sant’Angelo ricordano con affetto e nostalgia.
La (ex) Siv non è solo un punto fermo dell’occupazione del Vastese – o abruzzese in generale – ma rappresenta il punto di svolta e caratterizzazione di un intero territorio che forse non tutti conoscono.
Per raccontare questa storia è necessario partire da un (virtuale) primo capitolo ovvero quello del perché in un’Italia sulla rampa di lancio dell’industrializzazione la finanziaria Ernesto Breda decise di puntare su San Salvo.
Nei primi anni Sessanta, l’Italia non era in grado di far fronte alla richiesta crescente di vetro nell’edilizia e nel settore auto, il mercato era in gran parte appannaggio della francese Saint Gobain. C’era quindi la necessità di recuperare il gap, ma come e, soprattutto, dove?
LA FELICE COMBINAZIONE DI FATTORI – Innanzitutto a favore di San Salvo giocò la nota vicenda del metano. La scoperta da parte dell’Agip dei ricchi giacimenti cupellesi sono storia abbastanza nota. La popolazione locale promosse proteste e manifestazioni (i moti di Cupello) per rivendicare l’uso di quella ricchezza dal sottosuolo nel territorio (l’intenzione iniziale era quella di veicolare il metano nel Nord Italia, a Crema, dove c’era già una centrale). La permanenza a Cupello del metano rappresentò uno dei vantaggi per insediare qui la prima grande vetreria italiana. L’uso delle ricche fonti energetiche in loco giocò a favore di San Salvo.
C’era poi da soddisfare un’altra richiesta, quella di manodopera e nel Vastese la gran parte della popolazioen era impegnata nel lavoro nei campi, in molti casi si trattatava di un’economia agricola di sussistenza: si produceva, dai piccoli appezzamenti di proprietà, per le proprie necessità. La zona aveva un esteso bacino di potenziali lavoratori che bramavano un’occupazione e che spesso erano costretti a emigrare. Artigiani, ma soprattutto contadini, allevatori e pescatori sarebbero diventati gli operai del futuro: le stime iniziali per la grande fabbrica nascente parlavano di una richiesta di 2mila persone.
Insieme a questi due punti c’era inoltre il posto strategico: un’ampia area pianeggiante; l’estrema vicinanza con il casello autostradale Vasto Sud che in quel periodo era in fase di ultimazione; la prossimità con il porto di Vasto; la stazione ferroviaria a pochi chilometri di distanza che, in seguito, consentì la realizzazione di alcuni rami per portare sul posto con i vagoni merce i pesanti impianti produttivi; la possibilità di attingere a ricche fonti idriche (il Trigno) necessarie alla produzione del vetro.
Fu così che l’Eni-Breda acquistò, nel 1962, da 53 proprietari i terreni necessari alla realizzazione del più grande stabilimento vetrario d’Europa. Di lì a poco a Roma sarebbe stata costituita la Siv e un profondo processo di cambiamento si innescò in tutto il territorio.
Basti pensare solo all’impatto sul sistema dell’istruzione della zona per formare artigiani, contadini e pescatori: nell’anno scolastico 1962-1963 partì a Vasto l’Itis “Enrico Mattei” (allora come sede distaccata del “Savoia” di Chieti), nel settembre del ’62 (sempre a Vasto) si iniziò la costruzione del “Centro Professionale Salesiani” e l’anno successivo quella dell’Ipsia, l’istituto professionale di San Salvo (inizialmente come sezione staccata prima di Chieti, poi di Ortona).
QUEI FATTORI OGGI – Prima di concludere questa puntata, non si può non citare l’attualità di alcuni di quei fattori che cambiarono per sempre il volto del territorio.
Il metano è finito da un pezzo, i giacimenti sono usati come siti di stoccaggio (riempiti d’estate, svuotati d’inverno). La centrale e gli impianti di Montalfano (di proprietà della Stogit, gruppo Snam) sono da anni al centro del dibattito tra associazioni ambientaliste e politica riguardo soprattutto i progetti e i rischi correlati di potenziamento della capacità di stoccaggio e di smistamento.
Il Porto di Vasto è, di riflesso, anch’esso al centro della discussione ambientalista per quanto riguarda l’insediamento di nuove imprese nella zona industriale vastese. Lì si paga il peccato originale di aver insediato – in tempi in cui la sensibilità verso l’ambiente era molto diversa – le attività produttive a pochi metri da una futura riserva naturale, quella di Punta Aderci.
Il Trigno infine… la sua acqua contribuì a far arrivare la Siv a San Salvo. Oggi, soprattutto d’estate, la sua portata è ai minimi termini e l’opera faraonica, la diga di Chiauci, destinata a garantire un flusso idrico regolare per usi irrigui, domestici e industriali deve essere ancora completata, ma questa è davvero un’altra storia.