La pioggia non può essere la giustificazione di tutti i ritardi. Che l’estate sia iniziata tardi è un dato di fatto. Del resto, le aspettative erano ben altre, dopo un aprile quasi estivo e le prime giornate di mare con relativa abbronzatura per molti, residenti e turisti della domenica, già a Pasqua e nel ponte della Festa della Liberazione. “Un assaggio di quella che sarà la stagione estiva”, si azzardava tre mesi fa. In realtà, quelle aspettative non potevano prevedere i temporali che si sono abbattuti settimanalmente sulla costa abruzzese e, tra maggio e giugno, hanno rovinato la primavera inoltrata e anche l’inizio dell’estate. Ma l’ingovernabilità delle condizioni meteo non può giustificare le lungaggini. O può farlo solo in parte.
Di certo ha influito sulla crescita della vegetazione incolta. Ma l’avvio tardivo dei lavori continua a generare malcontento. Almeno il litorale dovrebbe essere in condizioni impeccabili a metà luglio. Le proteste dei cittadini si moltiplicano con l’arrivo dei primi caldi. Provocatoria la proposta, avanzata il mese scorso, di affittare delle pecore per brucare mezzo metro d’erba cresciuto tra le numerose fenditure di un marciapiede decadente di via San Giovanni da Capestrano (poi pulito dopo le polemiche). Decadente come le due facciate laterali del municipio che proprio in questi giorni vedono iniziare i primi lavori.
Nei ponti primaverili, che rappresentano le prove generali della stagione balneare, il colpo d’occhio che presentavano sia la città che la rivera si può riassumere in una parola: inadeguato.
All’arrivo dei primi caldi, Vasto appare in costante ritardo. Se vero che, a differenza di quanto avvenuto negli ultimi 6-7 anni, l’amministrazione comunale ha voluto dare un segnale presentando nell’ultima decade di aprile buona parte del calendario degli eventi estivi, è altrettanto evidente che la città, tranne nei fine settimana, stenta a entrare nel vivo di un’estate 2018 che, a livello nazionale, si prevede come record rispetto agli anni della crisi profonda, con l’Italia che viaggia a +11% di presenze, al di sopra (per una volta) della media europea dell’8,4%, che pure pone il continente al primo posto nei desideri del miliardo e 300 milioni di turisti che si sta spostando o si sposterà in questa stagione estiva. Numeri più che positivi, che pongono l’Italia tra le destinazioni più amate a livello internazionale. Sono dati pubblicati proprio ieri dal Corriere della Sera in una lucida disamina di Gian Antonio Stella. Ma come si pone Vasto in un mercato sempre più competitivo in cui la città, che pure può vantare bellezze paesaggistiche e storiche non indifferenti, continua ad arrancare? Si dirà che è presto per dare giudizi una stagione che da poco è entrata nei due mesi clou e che si è avviata, dal punto di vista climatico, solo da un paio di settimane. Ed è vero. Ma la questione che vogliamo porre non è numerica. A fine stagione ci sarà tutto il tempo di analizzare i dati completi su arrivi e presenze e, chissà, magari anche di sorridere se anche Vasto si sarà allineata all’andamento generale della costa della penisola. La questione, qui e ora, è un’altra. E’ qualitativa. Come si presenta la città agli occhi del turista che ha scelto di visitarla? Come un’incompiuta. Vasto Marina è un cantiere neanche aperto, ma solo avviato e poi lasciato a se stesso.
Due esempi sotto gli occhi di tutti. Primo: il pontile. Recintato a novembre per essere riaperto a marzo, in realtà è stato liberato dalle transenne solo a fine giugno. Ma non è tornato come nuovo, anzi. Pochi e parziali i lavori eseguiti. Il Comune si è affidato a una sponsorizzazione di privati che certo non ha velocizzato i tempi. E così, quasi quattro mesi dopo la scadenza per la riconsegna, passerella e piattaforma rimangono senza pavimentazione (rimossa nel 2016 perché sgangherata e pericolosa), la ringhiera parzialmente arrugginita, i pilastri a mare non ancora trattati. La frettolosa riapertura, decisa probabilmente per evitare ulteriori polemiche in piena estate, non ha riconsegnato al suo originario splendore quello che, insieme al Monumento alla Bagnante, è il simbolo della riviera di Vasto Marina, svalutata anche da un lungomare disastrato su cui solo in questi giorni si stanno mettendo le toppe.
Secondo: la vecchia stazione. Poche centinaia di metri più all’interno, l’area di risulta dell’ex scalo ferroviario. E’ diventato zona franca: parcheggio, bivacco notturno, bersaglio dei vandali, cantiere delimitato tre mesi fa e non ancora avviato, con conseguente perdita di almeno 150 posti auto. E la carenza si è già sentita nei week end più affollati. Il taglio del nastro di dicembre, organizzato dalla Provincia qui e in altri 4 punti dell’ex ferrovia da trasformare nella Via Verde della Costa dei Trabocchi, diventa, settimana dopo settimana, un’immagine icastica: quell’inaugurazione, giudicata a posteriori, assume sempre più i contorni dell’avvio di una campagna elettorale conclusasi con un voto dagli esiti allarmanti per coloro che, sorridenti, vicino dietro quel nastro si sono fatti fotografare.
Ma i ritardi passano anche e soprattutto attraverso quegli enti e quelle procedure che dovrebbero garantire servizi essenziali come l’acqua. Regione (attraverso il Consorzio di bonifica) e Sasi. Rubinetti a secco a rotazione: la turnazione delle chiusure viene equamente ridistribuita, dice la Sasi, la società che gestisce il servizio idrico integrato (acqua, fogne e depurazione) in 92 dei 104 comuni della provincia. Poi ci si mettono anche i guasti a privare i cittadini dell’acqua per molte ore nei giorni di calura. Centinaia di riparazioni l’anno non risolvono, però, il problema di fondo. Da decenni Vasto attende invano interventi seri di rifacimento e adeguamento di una rete idrica colabrodo e insufficiente. Il quadro è completo, se si aggiunge la Diga di Chiauci: se ne parla da trent’anni come della soluzione di tutti i problemi di carenza idrica nel Vastese e nell’area confinante del Molise. Nella torrida estate del 2017, un’altra promessa di completamento. L’ennesima. Nel 2018, nonostante un aumento della portata del bacino, l’opera resta ancora incompiuta. Emblema di un territorio in costante ritardo.