“Dal 1° gennaio 2016 il trattamento straordinario di integrazione salariale per crisi aziendale non può più essere richiesto nei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa”. Con questa motivazione il ministero del Lavoro ha bocciato la richiesta di cassa integrazione per i circa 400 lavoratori della Honeywell di Atessa, dopo l’accordo del 16 febbraio scorso, sottoscritto al Mise, per la chiusura dello stabilimento di turbo compressori che la multinazionale ha trasferito in Slovacchia.
“Il programma CIGS presentato dalla società istante è sostanzialmente finalizzato alla cessazione dell’attività di produzione di turbo compressori, che rappresenta l’attività principale dell’unità di Atessa”. Si legge così nel provvedimento del ministero che fa spegnere anche l’ultima flebile fiammella di speranza nei lavoratori per un ammortizzatore sociale che rappresentava sia una speranza di salario fino al 2019, ma soprattutto una sorta di garanzia per la reindustrializzazione del sito in Val di Sangro.
“Un fatto gravissimo – commenta il segretario provinciale Fiom di Chieti Davide Labbrozzi – che espone i lavoratori al rischio di licenziamento immediato dal primo giugno. Con Fim e Uilm manifesteremo davanti al Mise lunedì 28 maggio alle 10. È un atto scellerato che contrasteremo con forza”. Nell’accordo l’azienda si era impegnata a evitare i licenziamenti, prospettati dal 2 aprile, predisponendo il mantenimento di un’attività e l’utilizzo di cassa integrazione straordinaria fino a febbraio 2019. Tra i punti positivi dell’accordo la concessione a titolo gratuito del capannone a un’azienda interessata o affidata a un advisor per la [mar_dx] ricerca di imprese pronte a rilevare lo stabilimento.
“Non solo i lavoratori perdono il posto di lavoro, ma si vedono anche respingere un minimo ammortizzatore sociale come la Cigs. – , contesta l’ex deputato di Sinistra Italiana Gianni Melilla – Resta la profonda amarezza nei confronti di un comportamento padronale vergognoso favorito da leggi nazionali e normative europee che consentono delocalizzazioni produttive nei Paesi dell’Europa orientale da noi peraltro sostenuti con incentivi miliardari”.