Sono stati pubblicati recentemente i dati sul valore delle giocate pro capite nel 2016 alle slot machine, disaggregati per Comune e per area geografica.
(http://lab.gruppoespresso.it/finegil/2017/italia-delle-slot/ )
Salta all’occhio che il Vastese abbia speso complessivamente circa 60 milioni di Euro e che, nella classifica per Comuni, San Salvo e Vasto ricoprano rispettivamente il primo ed il secondo posto di questa non invidiabile graduatoria.
Secondo questi dati, a San Salvo si spende mediamente 785 Euro a persona alle slot; la stessa fonte ci fa notare come il reddito annuo pro-capite medio di San Salvo sia di 15.186 Euro, che è come dire che qui si spenda il 5% del proprio reddito alle macchinette. Non proprio pochissimo.
A Vasto, sempre secondo gli stessi dati, le cose vanno appena leggermente meglio: si spende mediamente 741 Euro l’anno a fronte di un reddito medio pro-capite di 17.882 Euro – il 4% del reddito.
Si tratta di dati allarmanti, a mio parere, che dovrebbero suscitare una attenta riflessione da parte di chi amministra. Lungi dal demonizzare le slot, ma un paio di domande meriterebbero risposte chiare.
Quanti di questi giocatori sono fruitori occasionali e quanti, invece, sperperano stipendi interi al gioco?
E di questi ultimi, quanti accettano o riconoscono di avere una sindrome da dipendenza e cercano di rivolgersi alle strutture preposte per uscirne?
Il problema, a mio parere, è piuttosto serio, specie se estrapolato su scala nazionale: qui, i numeri fanno tremare le vene dei polsi.
Nel 2016 il valore delle giocate alle macchinette è stato di 49,7 miliardi di Euro: + 1,3 miliardi di Euro rispetto al 2015 e + 34,7 miliardi di Euro rispetto al 2006. Per intenderci, nel 2016 in Italia abbiamo giocato alle slot un valore pari a quasi la metà del fatturato FCA dello stesso anno.
Nonostante tutto, però, il videogioco continua ad essere un ottimo affare: nel 2016 i concessionari di macchinette hanno fatturato 4,6 miliardi di Euro e lo Stato ha incassato 10,5 miliardi di Euro. Non proprio bazzecole.
“Pecunia non olet” (il danaro non puzza)? Sembrerebbe ancora di no, tutto sommato.
Certo, l’immagine che esce da queste indagini non è confortante. Storicamente, il gioco va in controtendenza con il benessere economico e sociale: si tende a giocare di più laddove le condizioni sociali, culturali ed economiche sono peggiori ed eventuali misure restrittive del gioco stesso producono addirittura un effetto contrario.
Il vero problema del gioco, infatti, non è nel gioco stesso ma nella progressiva degradazione del tessuto sociale, economico e culturale, degradazione che costituisce terreno fertile per forme varie di dipendenza.
“Sociale”, “Cultura”, “Economia”: cosa possono tre parole semplici contro 49,7 miliardi di inodore pecunia?