Le banche sono destinate a sparire? La risposta è sì. Succederà domani? E succederà a causa del bitcoin? Questo è un punto interrogativo. Parole che potrebbero sembrare azzardate. Ma a pronunciarle è stato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Di certo, è la prima volta che un capo di governo parla così apertamente delle conseguenze future del successo del bitcoin. Conseguenze che sembrerebbero non dispiacergli. Come sempre succede nel mondo delle criptovalute, tutto avviene in modo abbastanza confuso e travagliato. Le dichiarazioni di Nethanyahu sono state postate martedì scorso su youtube.” (da milanofinanza.it).
Nel 2009, nasce il bitcoin, una moneta elettronica; la crea un certo Satoshi Nakamoto, un signore che di certo non ha neanche il nome, considerato che nessuno conosce la sua vera identità.
Da un po’, ci siamo abituati ad infilare le cartine plastificate nelle fessure del bancomat o a digitare quel numero, tanto segreto, stampato nel loro retro per fare acquisti su internet ma la moneta elettronica di cui oggi molto si parla sembra essere altra cosa e potrebbe segnare un cambiamento epocale nel mondo finanziario e delle comuni transazioni.
La moneta serve per pagare, un mezzo di intermediazione per fare scambi, per misurare il valore delle cose e per aver riserva a cui attingere. Nell’antichità, la moneta era di metallo tondo, poi divenne di carta o immateriale, quale quella dei depositi bancari. Nascono così l‘economia monetaria e, nella sua applicazione, la politica monetaria, laddove il diritto alla sua emissione è, normalmente, di uno Stato in virtù della sua sovranità monetaria.
Prima della moneta, gli scambi avvenivano tramite il “baratto”: beni o servizi contro altri beni o servizi. Successivamente, ad esso subentrò l’utilizzo di “merce-campione”, un mezzo di scambio diverso asseconda aree geografiche o usi consolidati: vari metalli (oro, argento, rame o ferro) ma anche sale, conchiglie, pezzi di tessuto, pietre. Tra questi, per la loro resistenza al tempo e frazionabilità, si consolidò l’uso di metalli preziosi in forma di lingotti, barre o polvere, anche individuando unità di peso: il kikkar per gli Ebrei o i pani di rame egeo-cretesi a forma di doppia ascia. L’inconveniente nell’utilizzo di tali strumenti era però determinato dall’incertezza del vero peso e della purezza del metallo prezioso scambiato, al di là di quanto dichiarato dal suo possessore. Si giunse così al “metallo-utensile”, un pezzo di metallo prezioso, oro, argento o rame, coniato da uno Stato in una determinata forma e peso. Sembra essere stata messa in circolazione, per la prima volta, nel VII secolo a.C. Si trattava di un lingotto dal peso definito, il cui punzone, del Re o della Repubblica, rappresentava la promessa, da parte dello Stato, di accettarlo quale mezzo di pagamento. Ruolo importante era quello della Zecca, infatti essa dava corso legale a questi oggetti di metallo prezioso, li garantiva senza bisogno di controlli costanti del loro peso.
Nel tempo, ci si accorse, però, che le monete metalliche presentavano alcuni importanti limiti legati alla sicurezza nei loro trasferimenti (furti o inabissamenti marini), alla quantità variabile di metallo prezioso prodotto dalle miniere e alle difficoltà di valutazione negli scambi internazionali.
Nascevano così, attorno al trecento, le banconote. Alcuni banchieri, a fronte dei depositi in oro nelle loro banche, emisero titoli con cui si dichiarava un credito, sempre in oro, nei loro confronti; oltretutto, il possessore del titolo cartaceo avrebbe potuto scambiare quella carta anche presso altro banchiere collegato alla banca che lo aveva emesso o utilizzarla quale strumento di pagamento. A partire dal ‘700, le banche centrali iniziarono a stampare banconote dal complessivo valore superiore alla copertura in oro presso le proprie giacenze. Soltanto nei tempi moderni è resa possibile l’emissione di moneta non più in riferimento alla quantità di oro presente nelle casse: non c’è più contropartita e la moneta non è più considerata “merce” ma a “corso legale”.
Ad attribuire valore alla moneta è la fiducia di chi la riceve, facendola poi girare in pagamento. Prima, era l’oro ad essere sempre accettato poiché tutti ritenevano che chiunque ne avrebbe riconosciuto il valore; oggi, maggior fiducia è riposta nei confronti delle valute considerabili più forti, quali il dollaro o altre particolari monete o beni.
Questo excursus, come tale abbastanza sommario, introduce elementi in grado di mettere in luce quale sia la profonda differenza della moneta tradizionalmente intesa ed il bitcoin. Infatti, quest’ultimo non è emesso da alcuna banca centrale e non ha alcuna garanzia da parte delle autorità centrali. Nasce utilizzando, esclusivamente, internet, il più potente e moderno strumento di relazione tra persone e realtà finanziarie, scaturisce da un software appositamente programmato e la sua emissione è firmata utilizzando uno pseudonimo dietro cui non si sa chi si nasconda.
Nel senso consueto, bitcoin non è una “moneta”, è però denaro, un valore riconosciuto tra le parti sulla base della legge della domanda e dell’offerta, soldi utilizzabili anche per fare acquisti senza essere rappresentato da alcun oggetto di qualsivoglia materiale né da un simbolo o un numero, per questo è chiamata “criptovaluta”, valuta nascosta, simulata. Il bitcoin è parte di un sistema creato online ed il suo portafoglio è digitale. In un solo anno la sua diffusione ne ha permesso la rivalutazione del 1900%. Il suo controvalore, rispetto alle valute tradizionali, non appare governabile: all’inizio di quest’anno, un bitcoin valeva 777 Euro, oggi ne vale 14.475. Il giro (wallet) dei suoi possessori è determinato dal numero di questi ultimi e per essere spesi sul mercato occorre avere una chiave privata, a mo’ di password; tutte le transazioni sono memorizzate su un database. Il sistema è in grado di gestire al massimo 21 milioni di bitcoin e garantisce l’anonimato, nel senso che non contiene informazioni relative al suo possessore, individuandolo soltanto con una sequenza di numeri e lettere.
I trasferimenti di bitcoin rappresentano un vero cambio di proprietà della valuta e vengono effettuati senza che un ente esterno ne controlli l’uso tra le parti. Inoltre, è impossibile tassarne gli introiti, a meno che non vengano direttamente dichiarati, solo il sistema nel suo complesso è garantito da un protocollo pubblico ed il loro valore è determinato dalla legge della domanda e dell’offerta, affidato quindi al libero mercato.
Indubbiamente, chi ha acquistato e conservato bitcoin, fin dalla sua origine, ha oggi accumulato una fortuna, nonostante alcuni esperti, quali l’amministratore delegato di JP Morgan o banchieri di Wall Street, abbiano dichiarato, almeno inizialmente, che le criptovalute sono una truffa o un sistema illegale per scambiare moneta nell’ambito di attività criminali. In nessun Paese al mondo ci sono norme che ne vietino l’uso, la moneta è quindi legale, la si può liberamente usare, l’unico limite è dato dalla sua accettazione in pagamento.
Mercato libero e liberissimo scambio, capitali anonimi per persone anonime, deregulation rispetto ai classici meccanismi finanziari, nessun controllo da parte degli Stati, sistema di difficile comprensione per i più. Già… I più, i quasi tutti, quelli dei risparmi sotto la mattonella, per dirla con un eufemismo. Persone in un’economia creata sempre più per il vantaggio di pochi, probabilmente, di pochissimi. Potrà essere il nuovo meccanismo per una moneta di popolo e non delle banche centrali (vedi Prof. Giacinto Auriti)? Credo proprio di no.