La produzione industriale sta cambiando ed il cambiamento è di sistema. Non è certo la prima volta. Quando questo accade, non è possibile truccarsi da struzzo, occorre adeguare alle trasformazioni l’insieme del settore industriale per non subirne passivamente gli effetti.
I mutamenti si prefigurano epocali, propri di una nuova rivoluzione industriale alla quale necessariamente partecipare se non si vuol correre il concreto rischio di essere espulsi dal mercato e di veder andar persi milioni di posti di lavoro. E’ una rivoluzione tecnologica che già coinvolge i paesi più evoluti e nei confronti della quale il nostro segna ancora ritardi.
La qualificazione nota come il 4.0 dell’industria ha, tra i suoi effetti, la sostituzione del lavoro umano con l’automazione ed è la Germania, in Europa, a guidare l’accelerazione nei mutamenti di sistema. La Politica italiana segna ritardi che dovranno essere presto colmati per reggere il passo di Paesi come Giappone e USA ma anche Francia e Belgio, oltre che Germania, e l’Italia corre il rischio di non riuscire a gestire il cambiamento, laddove, come recita uno studio del The European House-Ambrosetti, “Il 14,9% del totale degli occupati, pari a 3,2 milioni, potrebbe perdere il posto di lavoro entro 15 anni”.
Con l’incedere della robotica, in definitiva, sarà limitata la tradizionale prestazione d’opera da parte delle maestranze e non solo, quella che si appalesa come una grande opportunità di crescita e sviluppo del sistema industriale ed economico rischia di travolgere una enorme quantità di addetti alla produzione di beni ed anche di servizi. E’ il tipo di lavoro prestato che dovrà, indispensabilmente, cambiare poiché saranno macchine sofisticate, computerizzate e che colloquiano tra loro a svolgere mansioni oggi affidate a mani e menti di persone, anche esperte, che rischiano di non aver più ruolo nei meccanismi di produzione.
Cassa integrazione, prepensionamenti ed altre misure a difesa dei lavoratori potranno apparire misure minimali a fronte dello sconvolgimento a cui, negli anni, si assisterà ed appare, da subito, indispensabile affrontare gli eventi con la consapevolezza di dover interpretare la propria attività, nei luoghi di lavoro, qualificando le prestazioni nei modi che saranno determinati dai nuovi sistemi. Assisteremo alla cancellazione di impieghi oggi normalmente considerati dai contratti di lavoro e dai processi di produzione e l’argine al fenomeno potrà essere rappresentato soltanto da funzioni sempre più qualificate alle quali i prestatori d’opera dovranno essere preparati e pronti per governare macchine, software sofisticati, intelligenze artificiali.
E’ certamente compito della Politica far fronte a queste esigenze. La rivista FQ MillenniuM, de Il Fatto Quotidiano, informa della circostanza che il valore aggiunto generato dall’industria negli ultimi dieci anni è diminuito in Italia del 2,1%, in Germania è aumentato del 3,8; mentre la quota di PIL investita in ricerca e sviluppo è stata del 2,8% in Germania ed appena dell’1,3 in Italia.
Il confronto tra i due Paesi continua in ordine ai posti di lavoro creati negli ultimi cinque anni: più del doppio in Italia rispetto alla Germania ma nella fascia di retribuzione bassa, mentre, nella fascia di retribuzione alta, il rapporto, in favore della Germania, è quasi di uno a sette: 680 mila contro 100 mila.
Senza un’adeguata riqualificazione delle capacità di lavoro che permettano una sorta di sintonia organica tra prestatori d’opera e macchine, software e robot, ci sarà poco da fare per frenare gli effetti della rivoluzione 4.0, ci sarà poco da fare per soddisfare la ricerca di posti di lavoro nel settore industriale.
Le nuove e future misure finanziarie dello Stato conterranno incentivi per l’acquisto delle tecnologie avanzate da parte delle industrie italiane ma certo non possono bastare questi pur indispensabili interventi, utili per mantenere il passo, ma che produrranno l’effetto collaterale dell’espulsione dal mondo della produzione di un numero ancora poco calcolabile di addetti e della difficoltà di inserimento di giovani non opportunamente preparati e qualificati per la gestione dei nuovi sistemi.
In prospettiva, ed è questa la bestia nera, se oggi il rischio concreto è che vengano divorati milioni di posti di lavoro “tradizionali” nel settore industriale, presto l’avanzare tecnologico aggredirà, per migliorarli, altri settori economici pur non direttamente collegati a quello industriale ma relativi alle professioni più disparate, anche a quelle intellettuali e di servizio che potrebbero essere ritenute al sicuro.
Sono situazioni che impongono un ben diverso approccio agli studi da parte dei nostri giovani. Affinché non corrano inutilmente sul posto, senza obiettivi prefissati, è indispensabile cambiare radicalmente l’Offerta formativa delle scuole ed i Piani di studio delle Università, privilegiando quelle materie ed individuando quegli approfondimenti che possano consentire loro di governare macchine ed intelligenze artificiali per non esserne governati e per poter ancora sperare di vivere lavorando e non elemosinando alle casse dello Stato, persino a quelle di uno Stato diverso dal proprio.