Nascono in Italia, crescono e studiano in Italia, parlano italiano, ma a differenza dei coetanei per lo Stato non sono italiani o – come citato nella testimonianza video di un giovane – lo sono, ma di “terza classe”. È la situazione di circa un milione di giovani nati da stranieri, destinati a restare tali nella terra natia nonostante non abbiano più legami con i Paesi di origine dei genitori.
800mila minorenni e la restante parte che ha superato i 18 anni sono coloro che potrebbero da subito usufruire della legge sullo Ius soli per acquistare la cittadinanza dell’unico Paese dove finora hanno passato la propria vita. I dati sono stati illustrati dall’onorevole Paolo Beni (Pd) nell’incontro organizzato venerdì pomeriggio nella pinacoteca del Palazzo D’Avalos dalla sezione Anpi di Vasto e dal Club Unesco della città.
“Oggi si argomenta la contrarietà a questa legge con la propaganda e il populismo – ha detto Domenico Cavacini (Anpi) – ma come si dice a un ragazzo nato e cresciuto qui che non è italiano?”.
La propaganda è presto spiegata. Tra gli spettri evocati maggiormente ci sono quelli della cittadinanza concessa a “tutti coloro che vengono con i barconi” e delle “donne mandate a partorire qui per dare la cittadinanza ai futuri terroristi”. In pochi però conoscono la legge.
“Questa consentirebbe di diventare cittadini italiani – ha spiegato Beni – ai bambini nati qui da genitori residenti regolarmente in Italia da tempo, con determinati requisiti. Non è una legge sull’immigrazione, ma stiamo parlando di 5 milioni di stranieri che vivono qui da tanti anni, che conosciamo, che rappresentano l’8,5% della popolazione, 2,4 milioni sono occupati regolarmente e producono l’8,8% del Pil, ma guadagnano il 27% in meno degli italiani”.
Il tema pressante dello Ius soli riguarda le seconde generazioni all’interno di questi 5 milioni. Si parla di famiglie residenti da anni, di vicini di casa, di condomini, ma che il populismo trasforma in “invasori”.
“La legge – ha continuato Beni – prevederebbe tre tipologie di aventi diritto che possono richiedere la cittadinanza: i bambini nati in Italia di cui almeno un genitore possiede la carta di lungo soggiorno dell’Unione Europea con regolare lavoro, residenza ecc.; non nati in Italia, ma arrivati qui in un età minore di 12 anni e che hanno terminato qui almeno un ciclo di studio; quelli arrivati minorenni, che sono in Italia da almeno 6 anni e che hanno conseguito un titolo di studio qui. Siamo ancora in tempo per evitare il pericolo di ghettizzazione, se riconosciamo qualcosa di più a chi ci sta accanto, siamo più sicuri anche noi“.
La legge, come è noto, sta incontrando diversi ostacoli, ma per Beni la speranza è di approvarla prima della fine della legislatura per “qualificare l’intero mandato: un segno di civiltà per rimettere l’Italia in pari con gli altri Paesi europei che prevedono la cittadinanza per chi nasce nella loro terra”.
Gli appartenenti alle seconde generazioni scoprono dopo l’infanzia le “differenze” con i coetanei e gli amici di sempre. Spesso le prime domande arrivano nell’età della terza media, quando – a differenza dei compagni di classe – devono esibire documenti aggiuntivi per gli spostamenti per le gite, fatto ancor più stringente se si stratta di viaggi all’estero.
“Loro non si sentono stranieri – ha detto il mediatore culturale Hamid Hafdi – I nostri figli raramente tornano nei Paesi di origine dei genitori e quando lo fanno, per una breve vacanza, non vedono l’ora di tornare in Italia, la loro terra. Questo è un argomento usato dai politici per fare campagna elettorale. È una legge che non aprirebbe le porte a tutti, è il minimo che si può fare e dobbiamo sentirla tutti come necessaria, non solo noi”.
“Lo straniero – ha concluso Bianca Campli (Unesco) – è una presenza costante nella nostra civiltà. I latini concedevano la cittadinanza, erano già inclusivi. Per questo, lo Ius soli è una scelta di civiltà, di cultura“.