”Smetti di fare l’inglese e fai l’italiano, se fai ricorso ti giochi la carriera”: così si è sentito dire da uno dei tanti “baroni” universitari Philip Laroma Jezzi, il ricercatore italo-inglese, impiegato presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze, che ha fatto partire l’inchiesta sul metodo di spartizione di posti e cattedre in diversi Atenei italiani.
Al ricercatore 47enne di padre italiano e madre inglese era stato imposto di ritirarsi da un concorso per un posto da professore già assegnato arbitrariamente e illecitamente ad un’altra persona ma, per fortuna, Philip Laroma Jezzi ha preferito “fare l’inglese” e, con la sua denuncia e le sue registrazioni, ha dato l’avvio alla maxi inchiesta della Procura di Firenze sui concorsi truccati, culminata nell’arresto di sette docenti universitari e nella sospensione per un anno di ulteriori 22 professori per un totale di ben 59 indagati (tra questi figurano anche componenti di commissioni ministeriali).
E così, mentre i cervelli italiani sono costretti a fuggire all’estero, in cerca di opportunità e meritocrazia, noi apprendiamo che nel Belpaese continuano a farla da padroni, tra gli altri, “baroni” universitari che commerciano in posti all’Università, gestendo posti pubblici come fossero beni privati.
In verità, che l’Italia non sia il Paese dove la meritocrazia è di casa lo abbiamo sempre saputo, ma vedersi sbattere in faccia questa triste realtà da parte di chi dovrebbe gestire la cultura, la formazione dei giovani e, dunque, la formazione della nuova classe dirigente, fa male al cuore e alla mente.
Già nei mesi scorsi abbiamo dovuto sopportare l’infelice uscita del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti che, parlando della fuga dall’Italia di tanti ragazzi in cerca di occupazione, ha testualmente dichiarato: “Conosco certa gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più tra i piedi”.
Sinceramente, non ci eravamo ancora imbattuti in un ministro della Repubblica, perito agrario salvato dalle coop rosse, che si permette di sbeffeggiare chi è costretto a mettere dentro una valigia affetti ed effetti personali, vestiti, foto, speranze, titoli di studio e competenze per andare a cercarsi un lavoro all’estero e costruirsi un futuro, che il nostro Belpaese non garantisce più. Abbiamo dovuto abituarci anche a questo.
Ora ci giunge conferma del fatto che in diverse Università si continuano a truccare concorsi, cioè si continua a rubare, soprattutto la speranza di tanti studenti e ricercatori. Ma non c’è problema: archivieremo presto anche quest’ultima inchiesta. Tutto tornerà come prima. In talune Università, così come in tante pubbliche amministrazioni, continueremo ad assistere al “vile commercio dei posti”, alla “chiamata alle armi” di amici, amici degli amici, sodali e parenti, anche se culturalmente ed eticamente impresentabili.
La prossima volta, però, dinanzi ad una nuova inchiesta tesa a smantellare un’altra piccola o grande cupola mafiosa, si abbia l’onestà intellettuale di non esultare: avremo scoperto l’ennesimo segreto di Pulcinella nel Paese che non conosce meritocrazia.