Il licenziamento per motivi disciplinari deve essere comminato subito e non a distanza di anni dai fatti contestati al lavoratore. Lo stabilisce la sentenza con cui il giudice del lavoro del Tribunale di Chieti, Ilaria Prozzo, ha accolto il ricorso presentato da un dipendente delle Poste di Vasto, Pasquale Roselli, e ne ha disposto la reintegra nel posto di lavoro.
La vicenda nasce nell’estate del 2012, quando a Roselli, 58 anni, in servizio nelle filiali di Vasto dal 1982, viene contestato il reato di appropriazione indebita di 14mila 528 euro e 28 centesimi dall’ufficio Poste Impresa della sede centrale di Vasto, in via Giulio Cesare. La società decide, il 3 ottobre 2012, di trasferirlo a Chieti, poi, il 25 ottobre dello stesso anno, di sospenderlo mentre lui è sottoposto a una misura cautelare disposta dal giudice per le indagini preliminari, quindi di disporre nuovamente l’assegnazione allo staff della filiale di Chieti dal 12 maggio 2014, dopo il cessare del provvedimento restrittivo.
Il 22 agosto del 2016, la sentenza del Tribunale penale di Vasto condanna l’impiegato a un anno e 9 mesi, pena sospesa. A seguito del verdetto, il 25 ottobre 2016 arriva la lettera di licenziamento, che Roselli impugna tramite i suoi avvocati, Carmine Di Risio e Marialucia D’Aloisio.
[ads_dx]La giudice del lavoro accoglie l’istanza, perché “la società, sin dall’ottobre 2012, disponeva di tutti i dati sufficienti per poter procedere ad una contestazione displiplinare. In questo quadro, quindi, non si giustifica l’attesa della sentenza di condanna per la formulazione della contestazione disciplinare, che deve ritenersi irrimediabilmente tardiva, in quanto intervenuta a quadi cinque anni dai fatti” e decreta, di conseguenza, “l’illegittimità del licenziamento”, ordinandone l’annullamento, la reintegrazione di Roselli nel posto di lavoro e, a carico di Poste Italiane spa, il risarcimento del danno, pari agli stipendi non pagati (1861 euro e 31 centesimi al mese) e 7mila 25 euro di spese legali.
“Sono contento – commenta il 58enne – di poter ricominciare a lavorare. Sto rivedendo la luce e, con me, la mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto”.
Sulla sentenza penale, invece, pende il ricorso presentato dal dipendente delle Poste tramite gli avvocati Giovanni e Antonello Cerella. Sarà la Corte d’Appello dell’Aquila a decidere se confermare la pena.